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Veneto Fronte Skinheads e gli altri: breve storia degli skin neofascisti in Italia

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Nati più di trent’anni fa, recentemente hanno trovato nell’opposizione all'”invasione” dei migranti una nuova ragione di esistere e prosperare—come dimostra l’ultima incursione a Como.

Un momento dell’incursione dei militanti del Veneto Fronte Skinheads a Como, il 28 novembre 2017. Grab via YouTube

 

Negli anni Novanta, in Italia c’era stato un forte allarme sociale sui cosidetti “naziskin”—gli skinhead (o meglio: bonehead) di estrema destra, che si rifacevano al nazifascismo e si aggiravano per le città a caccia di stranieri, persone di sinistra e diversi.
Nel 1992, per rendere conto del clima, sui giornali si leggevano frasi come: “Occhi aperti. Il suggerimento del ministro dell’Interno non ha avuto bisogno di traduzioni dal politichese: con i naziskin bisogna fare attenzione.” L’allora titolare del Viminale, Nicola Mancino, diceva: “Non ci deve essere sottovalutazione ma nemmeno allarmismo. Non dimentichiamo le tensioni sociali che il paese sta vivendo nel momento in cui sopporta una situazione economica difficile.”
Col passare del tempo l’allarme si è ridimensionato e al giorno d’oggi l’associazione di crani rasati, bomber neri, tirapugni e credenze fasciste sembra quasi una diapositiva sbiadita del passato, un fenotipo umano confinato ad American History X.
Ho usato il verbo “sembrare” perché, appunto, sembra che sia così. La realtà è diversa: il fenomeno non è per nulla sparito, ed è ancora capace di far parlare di sé.
Il 28 novembre 2017, una ventina di militanti del Veneto Fronte Skinheads ha interrotto un’assemblea della rete Como senza frontiere. Circondando il tavolo in silenzio e con fare minaccioso, i fascisti hanno letto un volantino contro “l’invasione” e salutato i presenti con l’esortazione: “E ora potete riprendere a discutere di come rovinare la nostra patria e la nostra città.”
Qualche giorno prima si è verificata una scena analoga, questa volta a Medole (provincia di Mantova). In questo caso, i militanti sono entrati in una sala dov’era in corso la presentazione del libro Non ci avrete mai di Chaimaa Fatihi—24enne italo-marocchina, delegata nazionale dell’Associazione Giovani Musulmani d’Italia—e si sono a messi a discutere con l’autrice e il sindaco Gianbattista Ruzzenenti.
Lo stesso primo cittadino ha dichiarato che “è la terza volta che intervengono a dibattiti pubblici a Medole: la prima due anni fa a un incontro sul gender e la parità di genere, mentre l’anno scorso a un incontro su immigrazione e accoglienza. […] Devo dire che tutte e tre le volte li ho lasciati parlare, perché è l’unico modo per dimostrare la pochezza dei loro argomenti.”
A parte Alessandra Mussolini e Forza Nuova, la politica nazionale e i media hanno condannato all’unisono l’accaduto. Eppure, al di là della contingenza e del clamore mediatico, credo che la cosa fondamentale sia capire chi sono questi bonehead italiani, dove attecchiscono, come si collocano nell’odierno ambiente neofascista e da che tipo di storia provengono. Per orientarmi, dunque, ho chiesto una mano al giornalista Guido Caldiron—uno dei massimi esperti di estrema destra in Italia, che tra poco tornerà in libreria con l’edizione aggiornata di Estrema destra. Chi sono oggi i nuovi fascisti?.
Anzitutto, a livello storico, bisogna risalire alla fine degli anni Ottanta, quando il Veneto Fronte Skinheads—fondato da Piero Puschiavo e Ilo Da Deppo—compare sulla “rivista” Blood & Honour “che lancia a livello internazionale il gruppo omonimo guidato da Ian Stuart e la scena musicale che cresce intorno agli Skrewdriver.” Il nucleo originale appare “quando il movimento skin in Italia non ha un’identità ben precisa, che si definirà a suon di botte e porterà alla divisione tra Redskin e i sostenitori del White Power Rock.” 
Dopodiché, dalla musica si passa in fretta alla politica. Sfruttando il legame internazionale con Blood & Honour, il VFS e altri gruppi (tra cui il Movimento Politico di Roma) si federano all’inizio degli anni Novanta in Base Autonoma. A metà di quel decennio—dopo che membri dell’organizzazione si erano via via resi responsabili di violenze, provocazioni, atti di incitazione all’odio razionale e antisemitismo—arriva la reazione delle forze dell’ordine e della politica, che porta allo scioglimento di Base Autonoma. 
In Veneto, l’inchiesta del 1997 coordinata dal procuratore di Verona Guido Papalia coinvolge una cinquantina di militanti del VFS; ma il processo va per le lunghe e alla fine interviene la prescrizione. I bonehead veneti sono comunque indagati a più riprese anche negli anni successivi, e del VFS si parla (ma l’associazione ha sempre negato ogni coinvolgimento diretto) in riferimento alla morte di Nicola Tommasoli a Verona—pestato e ucciso per strada nel 2008, e per cui sono stati condannati cinque neofascisti veronesi.
Gli ambiti in cui naviga il VFS non sono solamente lo stadio e la sottocultura degli skin di estrema destra, ma anche la politica istituzionale. Caldiron ricorda che nel corso degli anni Duemila “passano dentro il MSI-Fiamma Tricolore, poi dentro La Destra di Storace—il loro leader Pietro Puschiavo finisce nelle segreteria nazionale—e dopodiché, in vista delle elezioni del 2013, lanciano un progetto autonomo,” il tutt’ora attivo Progetto Nazionale
Quest’ultimo riesce anche ad esprime degli eletti come Manuel Negri (ex redattore del mensile Avanguardia) a Reggiolo, in provincia di Reggio Emilia; e Andrea Miglioranzi (il cantante dei Gesta Bellica) a Verona. Determinante in questo senso è l’alleanza politico-elettorale con l’ex sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, che nel 2012 venne accusato da Umberto Bossi di essere uno “stronzo” per aver portato nella Lega “un sacco di fascisti.” 
Si arriva così agli ultimi anni, dove si assiste a un “ritorno sulla scena”—probabilmente sotto l’impulso di una nuova generazione subentrata alla vecchia, che ormai ha più di cinquant’anni. Guido Caldiron ha due chiavi di lettura per questo rinnovato attivismo. La prima è quella della concorrenza con altri gruppi skin. “Se fino a una decina di anni quel circuito era l’unica realtà organizzata che puntava a unire bande locali (anche fuori dal territorio veneto), nel frattempo—soprattutto nel Nord Italia—è cresciuta la struttura di Lealtà e Azione, che è legata agli Hammerskins di matrice suprematista bianca americana,” mi dice il giornalista. 
Il VFS si è visto sottrarre questa sorta di “egemonia,” e sta quindi tentando di conquistare il terreno perso “dipingendosi come i più presenti, i più aggressivi e i più duri.” La seconda chiave di lettura sta proprio nel tono e negli obiettivi delle loro iniziative, che sono sempre più ossessivamente incentrate sul contrasto all’immigrazione e all’“invasione.”
Como e Medole, infatti, sono gli ultimi episodi di una lunga serie di azioni. Tra le altre cose, nel novembre del 2016 c’è stato un blitz al Festival delle Migrazioni a Modena; nell’estate del 2007 ci sono state incursioni e manifestazioni contro lo Ius Soli a Castel Goffredo (Mantova) e Padova; e nell’ottobre del 2017 è stato messo uno striscione contro Save The Children davanti alla sede milanese della ong. 
 
A questo proposito, Caldiron sottolinea come la dimensione di queste iniziative sia iper-localizzata—cioè svolta nei piccoli centri di provincia, dove “l’arrivo di pochi migranti fa la differenza nella politica locale”—e come ciò che dicono si inserisca nel solco delle “analisi sulla realtà italiana che esprime il centrodestra. Non c’è questa differenza abissale; magari nei modi sì, ma i contenuti sono i medesimi.” Matteo Salvini, infatti, parla di “sostituzione etnica” e Piano Kalergi esattamente come lo fanno quelli del VFS. 
 
In tutto ciò, parliamo comunque di numeri molto ristretti. Con ogni probabilità, mi spiega Caldiron, non si supera il centinaio di militanti attivi, che arrivano a duemila—con rinforzi dall’estero—nell’ambito del loro raduno principale chiamato “Ritorno a Camelot.” Si tratta però di “un circuito comunitario, per cui ci sono almeno due o tre generazioni, molto legato al territorio e alla politica locale.”
Il loro percorso pare non incrociarere quello di CasaPound—è “l’estremo dell’estremo,” nel senso che “non hanno pensato di modificare alcunché, non c’è nemmeno un tentativo di modernizzare o trasformare il loro linguaggio.” Sono la stessa identica cosa di trent’anni fa, insomma, ed è questo l’aspetto che colpisce di più: non è il VFS a essere cambiato o ad aver fatto chissà quali salto di qualità; è il contesto generale ad essere sprofondato al loro livello.
“Il fatto che una struttura così possa prosperare, avere relazioni politiche istituzionali, esprimere degli eletti sul piano locale e partecipare a campagne politiche, la dice lunga sul Nord e il Nordest italiani,” conclude Caldiron, “dove all’ombra della cultura identitario-leghista si sono sedimentate realtà ancora più impressionanti.”
(Leonardo Bianchi, Vice, 30 nov 2017)

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