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Lectio Biblica: La Genesi (incontro del 08 gennaio 2018)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

ABRAMO (Gen 11,27-25,18)

Testi liberamente tratti da :

-Brueggemann W., Genesi, Torino, Claudiana, 2002;


1) La chiamata di Abramo (Gen11,27-12,10)

2) Abramo e Lot (Gen 13,1-18)

3) Dialogo tra Dio e Abramo e 1° discorso sull’alleanza (Gen 15,1-21)

1)    La chiamata di Abramo (Gen 11,27-12;10)

Questo testo è di importanza fondamentale nella Genesi. Esso infatti unisce il racconto della provvidenza di Dio per il mondo (per” tutta” l’umanità) con quello dell’elezione di Israele da parte di Dio. Qui avviene dunque una svolta, la più importante dell’Antico Testamento e senz’altro della Genesi: essa separa la storia dell’umanità dalla storia di Israele.

Riflessione su tre termini: a) sterilità, b) chiamata /promessa, c) risposta

a)    La famiglia di Abramo discende da una serie di avi storici (genealogie). Ma ora questa discendenza si interrompe, si arena nella sterilità (11,30). Il testo non riflette sulle cause di questa sterilità, non accenna a eventuali punizioni o maledizioni. Si limita a riferire che questa famiglia (e con essa tutta la famiglia di Gen1-11) ha esaurito il suo futuro, è giunta al termine della sua storia.

Sterilità: è questo l’esito della storia umana, è un’efficace metafora della totale assenza di speranza. Non c’è più alcun futuro in vista. E non c’è potere umano che possa generarlo (tema dell’emarginato/privilegiato da Dio = Sterile, peccatore, pubblicano, prostituta, povero…).

La sterilità non è però soltanto la disperata condizione di un’umanità priva di speranza.

Infatti il miracolo della fede biblica è che essa è anche il teatro dell’azione vivificante di Dio. Questo Dio sceglie di profferire la sua parola efficace proprio in un contesto di sterilità. Questo Dio non dipende dunque dalle potenzialità di quelli che chiama. Abramo e Sara infatti ne sono del tutto privi. La parola di Dio non si attende nulla da quelli che chiama: ha in sè tutto ciò che basta a dar vita a un nuovo popolo nella storia. 

La parola di Dio trionfa sulla sterilità, è al tempo stesso imperativo e promessa, chiamata e rassicurazione. Ciò che è sterile viene scosso dal suo torpore e vivificato.

b)    La prima chiamata di Dio è consistita nel chiamare all’esistenza i mondi, il creato. In questa seconda chiamata Dio chiama i senza speranza a far parte di una comunità che ha un futuro, i sedentari a mettersi in cammino.

La parola di Dio è una chiamata all’abbandono, alla rinuncia, alla resa. Una chiamata a partire per un viaggio pieno di rischi, abbandonando il le certezze radicate. Ma si noti che questa chiamata non è legge, né disciplina: è promessa! Il testo sa che questa rinuncia alle certezze è l’unica via d’uscita dalla sterilità.

Questa chiamata riecheggia anche nell’invito di Gesù: “Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del Vangelo la salverà”. (Mc 8,35)

All’imperativo fa seguito la promessa esternata in cinque affermazioni alla prima persona singolare :(1) Io farò di te, (2)Io ti benedirò, (3)Io renderò grande il tuo nome, (4)Io benedirò quelli che ti benediranno, (5)Io maledirò quelli che ti malediranno (quanto è differente questa autoaffermazione di YHWH da quella autodistruttiva di Adamo ed Eva in Gen 3,10-13)

Sui doni della promessa vale soffermarsi. Essi sono indice di ciò che più desideriamo: benessere, prosperità, sicurezza, preminenza. La prosperità, Abramo e Sara non possono raggiungerla con le loro forze: può solo essere data. Ma questo dare dipende dal ricevere, dalla capacità di affidarsi all’Altro. E ’necessario abbandonare l’ideologia della modernità secondo cui tutto dipende da noi. La promessa per realizzarsi esige infatti una scelta, una decisione, un ravvedimento radicali. E’ la promessa a esigere il riconoscimento che il mondo ruota intorno a questo Altro, che gli da vita e che vuol essere creduto e glorificato.

c) Sebbene il testo si focalizzi sulla promessa di Dio, il versetto 4 domina tutta la sezione 12,1-25,18. La chiamata rivolta da Dio ad Abramo viene accolta. Abramo partì. Credette alla promessa. Obbedì. Non pose domande. Credere alla promessa senza prove visibili è ciò che si intende per fede. Abramo è il prototipo di tutti i discepoli che lasciano ogni cosa per seguire Gesù. Il resto della storia di Abramo e Sara saggerà questo assenso per sincerarsi se possa essere mantenuto e stabilire quali siano i costi di una simile decisione.

2) Abramo e Lot (Gen 13,1-18)

La prosperità di Abramo assume ora connotazioni territoriali. E’ sufficiente la terra? Come andrà gestita? come la si potrà conservare?

Essendo lo zio, e più anziano, avrebbe potuto accaparrarsi la terra migliore. Ma siccome confida nella promessa, non dubita che alla fine riceverà la terra che Dio vuole dargli. E così rischia tutto permettendo a Lot di scegliere.

Sebbene infatti in questa necessità di più terra acqua e pascoli covino germi di conflitto, il racconto ci sorprende: non c’è conflittualità da parte di Abramo.

Il testo induce a riflettere su come la fiducia nella promessa di Dio consenta una diversa percezione della realtà-anche economica. 

La concezione moderna dell’economia si basa sulla scarsità (=rischio di non avere abbastanza risorse per sè), perciò nelle questioni economiche, conflittualità, competizione e aggressione sono ritenute strategie giuste e legittime. Anche i pastori di Abramo la pensavano così. La spartizione delle ricchezze è un ambito in cui potere della promessa e ideologia della scarsità entrano drasticamente in conflitto.

In Lc 12,13-21 Gesù affronta lo stesso problema. Il ricco accumulatore di beni, si trova alla fine a perdere il suo bene più prezioso: se stesso. Gesù infatti contrappone ai “tesori accumulati per sè”, l’essere “ricco davanti a Dio” e proclama che l’alternativa all’avidità è la fiducia nei doni del padre.

I pastori di Abramo e Lot danno prova di avidità (v7). Ma non Abramo, che anzi mostra di esserne del tutto esente. Egli non è in ansia per la sua vita. Incarna la figura esemplare dell’uomo di fede, serenamente pago di far affidamento sulla promessa di Dio. Perciò agisce come un uomo “ricco davanti a Dio”. La vocazione di Abramo è vivere in un’economia della promessa che a tutti i seguaci della “legge” non potrà che apparire stoltezza e follia. Ma i discendenti di Abramo sono chiamati a essere eredi: non predatori, acquisitori o ladri.

2)    Dialogo tra Dio e Abramo e primo discorso sull’alleanza.

Questo capitolo è importantissimo per il ciclo di Abramo.

Abramo e Sara sono stati liberati dalla loro sterilità (11,30) dalla parola potente di Dio(12,1). Il loro pellegrinaggio di speranza è cominciato su un unico fondamento: la promessa di YHWH (12,1-4). Questa promessa si contrapponeva alla sterilità. Ma quando giungiamo al capitolo 15, la sterilità persiste. E su quella sterilità (che la promessa non ha vinto)si incentra questo capitolo.

La sequenza dei versetti 1-6 merita di essere analizzata.

1) v 1 promessa fondamentale di YHWH

2) v 2-3 protesta di Abramo

3) v 4-5 risposta di YHWH

4) v 6 accettazione di Abramo

1) La narrazione subisce una svolta con l’improvviso “non temere” di Dio ad Abramo. E’ una formula benevola ma che disorienta Abramo già timoroso in cuor suo del futuro, visto che la sterilità non è stata superata. Ma questo dio non è un bugiardo. Egli parla con una parola che ristabilisce la promessa. Egli dice “La tua ricompensa sarà grandissima. Il termine ebraico “skr”  può essere reso con “retribuzione” , ma  qui significa “dono” e non quid pro quo! Qui la ricompensa non è un premio che è stato meritato, ma il riconoscimento speciale che il re concede a un servo fedele che ha portato a termine una missione audace o rischiosa. Abramo e Sara sono infatti chiamati a vivere come creature che sperano in una situazione che non da adito alla speranza.

La tematica della ricompensa è una delle più complesse da interpretare ma essa è un concetto chiave della fede biblica, non astrattamente teologico, ma frutto della concreta esperienza della grazia di Dio. Il dono di Dio è concesso soprattutto a quanti credono e accettano di rischiare in base alla promessa. 

2)Ma la ricompensa promessa da Dio (terra, generazioni, benessere) ha bisogno di eredi, perché la si possa trasmettere alle generazioni future. Banalmente essa dipende dall’avere o non avere figli. Quindi si ritorna al problema della sterilità, al fatto che Dio non ha ancora fatto l’unica cosa indispensabile per il futuro.

Abramo ha l’audacia di sollevare una duplice protesta: ”Io me ne vado senza figli; tu non mi hai dato discendenza”(v2-3). Abramo vive in un tormento incessante. Trova che la promessa di Dio non sia convincente.

3)YHWH ribadisce ancora una volta la promessa (v4-5). Il testo è chiarissimo: null’altro viene offerto se non la Parola. Abramo e Sara vengono lasciati nella condizione in cui si trovavano al capitolo 12, con la sola realtà di questa bizzarra promessa. Dio proferisce la sua parola sovrana da cui dipende tutta la fede biblica: “Colui che nascerà da te sarà tuo erede.

La risposta si articola in due parti: (a) v.4 ripetizione della promessa; (b) v.5 un segno: le stelle del cielo. Ma il segno non prova nulla. Come potrebbe quella moltitudine di stelle essere la promessa di un figlio? Ma qui non si tratta di un ragionamento ma di una visione, una rivelazione, che permette ad Abramo che stava lottando con il bisogno di certezze, di raggiungere l’essenziale consapevolezza del fatto che Dio è Dio. E in questo momento di profonda oscurità viene concessa ad Abramo questa certezza “quello stesso Dio che ha creato l’infinita moltitudine delle stelle può anche far nascere un figlio a questa famiglia sterile.”

4) Il risultato: egli credette. (v.6) Perché Abramo passa da una protesta sfiduciata (v.2-3) a un atto di fede (v.6)? Egli di sicuro non si sente più giovane, né si fa illusioni sulla fertilità di Sara. Egli non nutre speranze legate alla carne, ma piuttosto giunge a fidarsi di Colui che gli rivolge la promessa. Permette a Dio di essere non un’ipotesi di futuro, ma la voce intorno a cui tutta la sua vita si organizza.

a) Abramo si è pentito. Ha abbandonato una lettura della realtà basata su quanto riesce a vedere, toccare, gestire. Ma la sua non è una pia illusione (ma sì tutto andrà per il verso giusto!) né una abdicazione. É semmai una risposta a una promessa concreta che gli giunge da uno che egli conosce. Egli crede che Dio possa operare una svolta tra il presente sterile e un futuro fecondo.

b) Per Abramo il segno delle stelle non è ne una prova né una dimostrazione: è un sacramento tra quanti sanno scorgere la connessione tra realtà visibile e promessa. Abramo intraprende un discernimento sacramentale.

c) Ma in ultima analisi, la nuova realtà della fede di Abramo va considerata un miracolo operato da Dio. La fede di Abramo non va interpretata in senso romantico come una conquista o una decisione morale del singolo. Il nuovo viaggio di Abramo non si fonda sulla carne ormai decrepita di Sara, ne sulle ormai stanche ossa, ma sulla parola rivelatrice del Signore.

d)Egli credette al SIGNORE, che gli contò questo come giustizia”. Questa affermazione è un momento rivoluzionario della storia della fede. Il testo annunzia cosa significhi essere le creature che siamo stati cerati per essere, cioè essere giusti. Significa credere nel futuro di Dio e vivere certi di quel futuro anche se il presente è di morte. Questo rivoluzionario concetto di giustizia è la fine di tutti gli –ismi (moralismo, dogmatismo, pietismo, esistenzialismo, positivismo, marxismo, capitalismo) perché ogni “-ismo” è un modo di esercitare un controllo sul presente. Questa nuova giustizia invece è un rinunciare a un controllo del presente perché si crede in una genesi. Abramo è una “nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco sono diventate nuove.E tutto questo viene da Dio… affinchè diventassimo giustizia di Dio”. (2Cor 5,17-18,21). 

Nessun altro testo dell’Antico testamento ha esercitato un influsso altrettanto dominante sul nuovo testamento.

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