venerdì, Aprile 19, 2024

L’espulsione dei profughi africani è un test per la democrazia israeliana

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Indipendentemente dal fatto che i richiedenti asilo africani siano espulsi o meno, Israele deve fare i conti con un banco di prova che determinerà il suo futuro. 

È impossibile non essere scioccati dalla premeditazione e dal razzismo che sono alla base di questo piano di pulizia etnica, il cui obiettivo è allontanare persone nere e non ebree a causa del colore della loro pelle. Il destino di queste 35mila persone dovrebbe stare a cuore a ogni israeliano perbene, ma la questione va oltre, e in modo significativo.
In gioco ci sono progetti nascosti e di portata molto più ampia, di cui per ora parla solo l’estrema destra, ma che un giorno potrebbero trasformarsi in un piano d’azione concreto. L’espulsione dei profughi africani è un programma-pilota di grande importanza per il governo e per i suoi oppositori.
Israele agisce senza ripensamenti
Se questa espulsione avrà successo, potrebbero essercene altre in futuro: preparatevi a un trasferimento di popolazione. Se la prima operazione riuscisse, aumenterà la speranza di realizzare ulteriori espulsioni. Israele si renderà conto di poterlo fare, e che nessuno è in grado di fermarlo. E quando Israele è in grado di agire, lo fa senza ripensamenti. Per due volte ha brutalmente devastato la Striscia di Gaza, perché poteva farlo, e lo farà di nuovo fino a quando qualcuno lo fermerà.
D’altro canto, se l’espulsione dei richiedenti asilo dovesse fallire, la cosa mostrerà che quegli israeliani dotati di coscienza hanno più potere e influenza di quanto non sembri. E che laddove esiste la volontà, esiste sempre un modo di metterla in pratica. Per questi israeliani l’obiettivo sarà continuare a lottare, con gli stessi mezzi e la stessa determinazione, contro altri crimini. E anche loro trarranno speranza da un eventuale successo.
Per questi motivi il precedente dei profughi africani è così importante. Per questo i piani d’espulsione e la battaglia per fermarli non possono essere sottovalutati. La lotta ha già dato i primi frutti.
Il prossimo tentativo di espulsione potrebbe avere come obiettivo i parlamentari arabi della knesset
Il responsabile delle espulsioni, Shlomo Mor-Yosef, direttore generale dell’autorità per la popolazione, l’immigrazione e i confini del ministero dell’interno, ha annunciato che saranno espulsi solo uomini non sposati in età da lavoro. Si tratta del primo passo indietro di fronte alla pressione pubblica, più forte del previsto, ma non conta nulla. Maltrattare degli uomini non è più legittimo che prendersela con delle donne o perfino degli anziani.
Mor-Yosef ha cercato goffamente di legittimare una cattiva azione, ma il suo bisogno di nascondersi dietro a dichiarazioni come “stiamo espellendo solo maschi adulti, va tutto bene” è un risultato positivo. È verosimile che, imbarazzato, presto si dimetterà dal suo vergognoso incarico.
Ma non basta. Se la lotta contro le espulsioni andrà avanti, anche con atti di resistenza che sono fondamentali a questo scopo, il governo Netanyahu sarà obbligato a fare marcia indietro. Senza piloti non possono esserci voli di rimpatrio e, in presenza di forme di disobbedienza civile, non si potrà dare la caccia ai profughi.
Puntare i piedi
Se il piano di espulsioni fallisse, la sinistra capirà che l’unico modo di spuntarla è usare il sacrificio e la disobbedienza. Le manifestazioni sono inefficaci. Il campo di chi si batte contro le espulsioni capirà di essere in grado di prevenire dei crimini, ma solo se sarà pronto a puntare i piedi e a sacrificarsi, e che non tutto è deciso dalla sorte o dalla destra. E il governo scoprirà di non essere onnipotente e di avere un avversario attivo e dotato di coscienza.
Vale la pena ricordare che un’altra operazione di pulizia etnica, nella valle del Giordano e sulle colline meridionali di Hebron, non ha incontrato alcuna resistenza civile degna di nota. 
(Gideon Levy, Haaretz, Israele, in L’Internazionale, 30 gennaio 2018)

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