giovedì, Aprile 25, 2024

Essere profeti ieri e oggi (Carlos Mesters)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

La parola profeta deriva dal greco e vuole dire, letteralmente, “parlare (fèmi) a nome di” “per conto di” (pro). Il profeta è qualcuno che non parla a nome proprio, ma a nome di un altro che lo ha inviato. È un portavoce.

Mi è stato chiesto di riflettere sulla Profezia nella Bibbia in modo che possa essere oggi fonte di inspirazione per tutti noi. Perciò, parlerò della Bibbia. Ma il modo di presentarla sarà come guardare in un specchio, dove si riflette ciò che accade oggi. 

 

NELLA BIBBIA LA PAROLA “PROFETA” NON HA UN SENSO BEN DEFINITO

 

Quando oggi sentiamo la parola “profeta”, ci vengono in mente le figure di Elia, Isaia, Geremia ed altri. Ma è solo a poco a poco, attraverso un lento discernimento, che si arrivò a questa immagine definita che ci permette di distinguere i veri dai falsi profeti. All’epoca di questi avvenimenti le cose non erano così chiare. Il popolo era confuso, non sapendo bene chi fosse e chi non fosse un vero profeta (Ger 27,9-10; 29,8; 2Cr 18,1-22). La varietà dei profeti era grande. C’erano profeti e profetesse. C’erano gruppi religiosi di profeti popolari al tempo di Samuele (1Sm 10,10) e di Elia (2Re 2,3.5). C’erano quelli che sostenevano la monarchia (2Sm 7,4-16; Ger 28,1-4), mentre altri la criticavano (1Re 18,16-18; 21,17-24). C’erano profeti che avevano detto: “Io non sono un profeta!” (Am 7,14; Zc 13,5) e quelli che criticavano i profeti, accusandoli per il disastro nazionale della distruzione di Gerusalemme (Ger 23,33-40; Ez 13,1-13.16; Zc 13,2-6). C’erano profeti che sostenevano il culto e incoraggiavano la ricostruzione del tempio (Ag 1,2-11), ed altri che criticavano il Tempio e condannavano il culto (Ger 7,1-15; Am 5,21-25; Is 1,10-15). A volte si distingueva tra profeti e veggenti (1Sm 9,9), altre volte il profeta è chiamato “uomo di Dio” (1Sam 9,6.9.11; 1Re 17,24; 2Re 1,9.11). Quanto c’è di comune a tutti, è il fatto che essi appaiono come persone legate alla divinità. C’era una grande confusione, poiché le divinità erano molte. Varie ugualmente erano le immagini di rappresentarsi JHWH, Dio del popolo.

 

La parola profeta deriva dal greco e vuole dire, letteralmente, “parlare (fèmi) a nome di” “per conto di” (pro). Il profeta è qualcuno che non parla a nome proprio, ma a nome di un altro che lo ha inviato. È un portavoce. In questo modo, Aronne era il profeta (il portavoce) di Mosè (Es 7,1). C’erano i profeti di Jahvé (1Re 18,4) e quelli di Baal (1Re 18,19). Ambedue si dicevano inviati da Dio. C’erano quelli che sostenevano di parlare a nome di Dio, ma parlavano a nome proprio (Ger 23,30-32). Per essere “pro-feta”, una persona dovrebbe avere un intimo legame con colui a nome del quale parla e che lo ha inviato.

 

L’EPOCA IN CUI C’ERANO MOLTI PROFETI

 

Dall’inizio della monarchia (1000 a.C.) fino alla fine dell’esilio di Babilonia (587-538), i profeti facevano parte della storia dell’Israele. Quasi tutti i grandi profeti sono di quel periodo. Essi erano la coscienza parlante del popolo di Dio. Dopo l’esilio, il popolo diceva: “Non ci sono più profeti ” (Sal 74,9; cfr. Dn 3,38). Divisero la storia in due periodi: il periodo in cui c’erano i profeti e quello “in cui non c’erano più profeti” (1Mc 9,27). Si parlava degli antichi profeti (Zac 1,4; 7,7). Cose del passato! Era stato fatto un elenco che sembrava già completo: dodici profeti (Eccl 49,10), e si cominciava ad usare la parola profeta per indicare i suonatori di strumenti musicali nelle celebrazioni liturgiche (1Cr 25,1.3). Durante i 400 anni del periodo dei re, essi avevano i loro profeti. Durante più di 500 anni, dall’esilio fino a Giovanni Battista, non vi furono quasi più profeti e la gente visse nella speranza che qualche profeta spiegasse loro le cose (cfr. 1Mac 4,46 14,41).

 

La linea di divisione fu l’avanzata dell’impero internazionale di Babilonia che portò alla distruzione di Gerusalemme nel VI secolo avanti Cristo. I tre grandi segni o “sacramenti” che, in quel periodo, erano la garanzia visibile della presenza di Dio in mezzo al popolo furono distrutti! Il Tempio, casa perenne di Dio (1Re 9,3), fu dato alle fiamme (2Re 25,9). La Monarchia, fondata per durare per sempre (2Sam 7,16), non esisteva più (2Re 25,7). La Terra la cui proprietà era stata garantita per sempre (Gen 13,15), divenne proprietà dei nemici, (2Re 25,12; Ger 39,10; 52,16).

 

L’impero distrusse il sistema socio-politico delle piccole monarchie del Medio Oriente. Ciro, re di Persia, sembrò essere un’alternativa, ma non poteva garantire stabilità. Tutti erano sotto il dominio del potere straniero. Non erano più Stato o Nazione, ma solo comunità etniche, disperse in un impero multi-culturale e multi-razziale, senza indipendenza politica, senza esercito, senza re. In questa situazione, era impossibile immaginare che qualcuno dei villaggi della Palestina potesse comportarsi come profeta o profetessa al vecchio stile di Amos o Michea. Un coltivatore della Palestina non aveva alcuna possibilità di imporre l’osservanza della Legge di Dio, sotto il dominio dell’imperatore di Babilonia o di Persia, dei governatori ellenisti o romani. L’impero aveva altri dei e altre leggi! Ma fu proprio in questo periodo, senza profeti, che la profezia trovò forme nuove di espressione. Questa nuova profezia ci aiuta ad osservare meglio la profezia che si attua in mezzo a noi, nelle comunità ecclesiali.  

 

LA CONGIUNTURA ECCLESIALE E LA PROFEZIA OGGI

 

Nel recente passato, negli anni ’60 e ’70, quando i vescovi dell’America Latina si riunivano in assemblea, tutta la stampa accompagnava l’avvenimento. Nella conferenza di Medellin vi fu una grande animazione. Il contesto del mondo, nel 1968, era caratterizzato dal vento di rinnovamento del Concilio Vaticano II, dalla rivoluzione mondiale della gioventù, dall’atmosfera della guerra fredda, dalle dittature in America Latina. Le parole dei vescovi avevano un peso, rappresentavano il meglio della comunicazione e risvegliavano un movimento popolare molto importante per la storia del nostro popolo. La conferenza di Medellin, rilettura latino-americano del Vaticano II, confermò ed irradiò la Teologia della liberazione e divenne fonte animatrice delle Comunità ecclesiali di base e della Lettura popolare della Bibbia. Puebla rappresentò la conferma e l’approfondimento del cammino. Fu un’epoca promettente. Profetica!

 

Oggi, la situazione è diversa. Quando i vescovi si riuniscono, la stampa ne parla appena. Non facciamo più notizia. Molti di coloro che hanno lottato negli anni ’60 e ’70 oggi sono stanchi e frustrati. Non è che abbiano perso la fede, ma non sanno più come affrontare il mondo nuovo con una fede antica. Il mondo è molto cambiato. Noi tutti siamo cambiati. Cresce la secolarizzazione. È difficile immaginare che una comunità di base dell’interno del Brasile possa affrontare le multinazionali per affermare l’osservanza del Vangelo. L’impero neoliberale ha altri dei e altre leggi! Alcuni affermano che la Teologia della liberazione e le Comunità ecclesiali di base appartengono al passato. La linea di divisione è stata l’avanzata dell’impero neoliberale dopo la caduta del muro di Berlino. L’alternativa socialista che sembrava affermarsi, si è squagliata e per ora non ne sono comparse altre. In molti Paesi, le elezioni sembrano un pendolo: quando la destra non è gradita, avanza la sinistra, e quando la sinistra non è gradita si torna alla destra. Non vi è alcun orientamento chiaro per il futuro. Nuove minacce appaiono nell’orizzonte: catastrofe ecologica e atomica, nuove malattie, ingiusta distribuzione della ricchezza, violenza galoppante, pericolo di guerra religiosa a livello mondiale ecc. Cambiamenti profondi a tutti i livelli della vita mettono in crisi i valori tradizionali. Disperatamente, l’umanità cerca una via d’uscita, anelando a una profezia che indichi la strada. Nel frattempo, la Chiesa è ritornata a ripiegarsi su se stessa e i suoi problemi interni, più ecclesiastici e meno coinvolti nelle lotte popolari. Meno profetici!

 

Non succederà anche tra di noi, in questo tempo senza profeti, che lo spirito profetico faccia sorgere nuove forme di profezia? Isaia rispondeva a coloro che ancora non le vedevano: “Io sto facendo cose nuove! Non ve ne accorgete?” (Is 43,19) Ma che cosa vedeva Isaia che gli altri non vedevano? Chi dà la caccia alle aquile non vede le farfalle! Gesù criticò i farisei perché non sapevano cogliere i segni dei tempi (Mt 16,1-3).

 

di Carlos Mesters

 

Frei Carlos Mesters è stato definito “un grande maestro di lettura biblica popolare”. Nato in Olanda nel 1931, si è trasferito da giovane in Brasile. Entrato nel 1952 nell’Ordine Carmelitano, dottore in teologia biblica, con prolungati soggiorni di studio nell’Ecole Biblique di Gerusalemme, è stato attivamente impegnato dal 1973 al 2001 nelle Comunità ecclesiali di base del Brasile, leggendo con il popolo la Parola di Dio. Fondatore del Centro ecumenico di studi biblici a Belo Horizonte (Brasile), nel 2001 è stato eletto consigliere generale dell’Ordine Carmelitano. Ha pubblicato una ventina di libri sulla Bibbia, tradotti in varie lingue.

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