venerdì, Marzo 29, 2024

Niger, c’era una volta il West ma Mamadou non lo sa ancora

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Carica nel baule dell’auto due sacchi neri di plastica. Dentro ci sono due borse che è tutto quanto Mamadou Sadio ha protetto dalla polvere del deserto e dalla dogana nigerina. Per arrivare a Niamey si è venduto l’Android comprato come ricordo nel suo secondo soggiorno in Algeria. La prima volta aveva sedici anni e, dopo aver fatto il manovale per qualche mese, si è messo alla scuola di un sarto. Faceva ricami e con questi sbarcava il lunario che nel  frattempo si era trasformato in nostalgia di casa.  

 

Orfano di entrambi i genitori pensava di trovare in Guinea, suo paese di origine, quanto guadagnava in Algeria. Mamadou decide di tornarvi perché la sua patria è come una matrigna senza nome. Un amico gli paga il viaggio e i briganti ne profittano per arraffare i soldi imprestati per il transito. Ad Algeri comincia col fare il manovale come la prima volta e poi ritorna alla sartoria.
C’est una volta il West che si è trasformato in Far West, un Western all’italiana. Ancora meno attrattivo dei Western- spaghetti. Rimangono come un pugno di dollari da non spartire con nessuno e il sistema organizzato di depredazione globale. Un crepuscolo nel quale il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri. Lo ricordava Antonio Gramsci. Il West fabbrica mostri e li esporta assieme alle mercanzie, le armi e le guerre umanitarie di ultima generazione. Un Western che teme l’arrivo dei nostri che potrebbero tirarlo fuori dal torpore politico ed etico dal quale non ha saputo capire la seduzione. Ora è tardi e forse è bene che cominci a preparare le scialuppe di salvataggio per il prossimo naufragio sulle scogliere.
Mentre sta lavorando in una bottega di ricamo a buon mercato la polizia algerina gli chiede i documenti. Malgrado la sua carta consolare originale è accusato di falso, imprigionato e infine condannato a un anno di carcere. Si trova in una stanza con altre 25 persone, algerini e stranieri di varie nazionalità. Ad ognuno il suo problema e per tutti un filone di pane e mezzo al giorno con ripieno di fagioli variabili. Un bagno comune con la porta aperta e l’acqua occasionale ogni due settimane. L’ora d’aria al mattino e il pomeriggio verso le 16. Una televisione per tutti con film la sera e occasionali partite di calcio in mondovisione. E’ così che passano i 5 mesi di Mamadou che viene graziato per la festa nazionale dell’Algeria. All’uscita riceve il foglio di espulsione stampato in arabo che capisce ma non legge. Si fida sulla parola e stavolta riparte per sempre.
C’era una volta il West che si è trasformato in un campo di battaglia. Le trincee della prima guerra mondiale sono state abbandonate e poi esportate. Si preferiscono ora sistemi più sofisticati e altrettanto invasivi di controllo biometrico. L’economia ha divorato la politica che si limita ad organizzare la spogliazione dell’esistente. La Westernizzazione del mondo ha le settimane contate e, stavolta, non basterà l’arca di Noè per gente distratta a commerciare. Sarà come in quel tempo, e stava già scritto, che ci si sposava, si facevano case, si comprava, si vendeva e si banchettava. Non si prestava attenzione a quello che stava per accadere. In cambio venivano respinti i soccorritori che arrivavano dal mare. Era l’ultima occasione che si presentava al West per salvarsi dai mostri.

Mamadou sa invece dove andare, come lo sa il vento di sabbia che lo ha guidato fin qui. Torna al suo paese con due due borse rivestite di plastica e la carta consolare della Guinea numero 10807. Con poco più di vent’anni, senza una casa e una vita davanti tutta da ricamare.

(Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2018) 

 

Mauro Armanino: Missionario, dottore in antropologia culturale ed etnologia

Nato a Chiavari nel 1952. Già operaio e sindacalista della FLM a Casarza Ligure. Volontario in Costa d’Avorio, sostitutivo del servizio militare. Poi ordinato prete missionario presso la Società delle Missioni Africane di Genova. Sono stato cappellano dei giovani in Costa d’Avorio fino al 1990. Dopo alcuni anni a Cordoba in Argentina sono partito in Liberia per sette anni. Ho conosciuto la guerra e i campi di rifugiati. Al ritorno da questa esperienza sono rimasto in centro storico a Genova coi migranti e ho operato come volontario nel carcere di Marassi per gli stranieri di origine africana. Da oltre due anni mi trovo in Niger per un servizio ai migranti e nella formazione. Sono stati pubblicati alcuni miei libri dalla EMI, l’editrice missionaria (Isabelle, 5 nomi per dire Liberia, La storia si fa coi piedi). Con l’editrice Gammarò di Sestri Levante è uscito il libro-tesi La storia perduta e ritrovata dei migranti, per Hermatena (Bologna) ho pubblicato La nave di sabbia. Migranti, pirati e cercatori nel Sahel, Nomi di vento, La città sommersa. Il mondo altro dei migranti… i minatori del mare.
 

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