giovedì, Aprile 25, 2024

Se la Cina è vicina (alla Santa Sede), anche la Chiesa si divide

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
39322 ROMA-ADISTA. Si fa un gran scrivere in questi giorni, nei più svariati media del mondo, su Cina e Santa Sede, su un accordo che sarebbe imminente o sull’impossibilità di raggiungerlo a causa di pratiche del governo cinese. E la fattura degli articoli, anche di stampa cattolica, talvolta tradisce un interesse “politico” e perciò il tratto divisivo dell’argomento. Spesso si tratta di illazioni, anche legittime; in altri casi di denunce finalizzate a mettere i bastoni fra le ruote ad un’intesa coi “comunisti”; in altri ancora di letture più realistiche o frutto di “gole profonde” ritenute affidabili.

Fra queste ultime, sensata sembra la notizia di Religión digital (3 aprile) che ipotizza un “Concordato extra-ufficiale” per dare soluzione a problemi che datano dal 1951, cioè dalla rottura dei rapporti diplomatici tra i due Stati. «Secondo voci filtrate nell’ultima settimana l’accordo che stanno per chiudere Pechino e Santa Sede – afferma innanzitutto RD – stabilirebbe che il papa possa nominare i vescovi e normalizzerebbe il funzionamento della Chiesa cattolica in Cina». Sarebbe, spiega a seguire, «una sorta di concordato extraufficiale simile a quelli che il Vaticano mantiene con altri Paesi per regolare le sue relazioni bilaterali, senza bisogno che il Vaticano rompa i suoi rapporti diplomatici con Taiwan, condizione che la Cina suole imporre agli altri Stati» e che ha posto anche alla Santa Sede. Pechino «si accontenterebbe dell’apertura di un ufficio di coordinamento del Vaticano in Cina », ottenendo da Roma il riconoscimento dei sette vescovi della Chiesa ufficiale cinese, quelli nominati solo dal governo.

Molto inchiostro è corso sul cosiddetto “arresto” di mons. Vincenzo Guo Xijin, vescovo di Mindong (Fujian) riconosciuto dal Vaticano ma non dal governo, cui il Vaticano aveva chiesto di farsi da parte, lasciando guidare la sua diocesi al vescovo ufficiale della stessa, Zhan Silu, divenendone Guo vescovo ausiliare (v. Adista Notizie n. 5/18). Ne ha dato notizia anche Adistaonline il 28 marzo, riportando un lancio di AsiaNews (27/3/18). A distanza di giorni, è  il quotidiano dei vescovi Avvenire (4 aprile) a fornire la versione più plausibilmente corretta dell’accaduto e bacchettando con vis polemica un bel po’ di media.

«La mattina del giorno di Pasqua», ricostruisce il quotidiano, «Radio Australia ha diffuso la notizia che non avrebbe celebrato la Messa perché arrestato dalle autorità cinesi. Era stato “rapito”, aveva infatti assicurato qualche giorno prima una nota agenzia missionaria cattolica». Il quotidiano cattolico, dopo aver informato che «Guo ha accettato di diventare vescovo ausiliare di Mindong», spiega che è «in tale contesto» che «le autorità locali hanno chiesto al vescovo Guo [chiamandolo nell’Uffcio degli Affari Religiosi] di concelebrare con Zhan le festività pasquali» e che egli avrebbe «declinato la richiesta», precisando però «di essere pronto a farlo non appena “sarà il momento”. Dopo il suo rifiuto», continua Avvenire, «Guo ha dovuto allontanarsi per qualche giorno. La sua spiegazione è stata: “Dal punto di vista del governo non siamo legali, così durante questo periodo delicato [la Settimana Santa] ci hanno chiesto di limitarci un po’”. Ma ha aggiunto: “C’è un contatto tra il governo e Roma. Dobbiamo solo aspettare”. E a scanso di equivoci ha chiarito la sua volontà di obbedire: “Se la Chiesa e il governo possono raggiungere un accordo, allora lo seguiremo”». Conunque mons. Guo ha potuto celebrare sia la messa crismale che la messa pasquale: secondo Gianni Valente di Vatican insider, grazie ad un preciso intervento vaticano.

Il quotidiano cattolico completa la sua informazione con un attacco a testa bassa verso media che avrebbero trattato l’argomento «a senso unico». «La ricostruzione dei fatti – stigmatizza Avvenirechiarisce molte cose riguardo a questa vicenda, intorno alla quale si è scatenata una impressionante campagna stampa internazionale. Solo nell’ ultima settimana, sono intervenuti sulla questione, alcuni più volte, France Press, Reuters, Associated Press, Washington Post, New York Times, Financial Times, The Guardian, Le Figaro, LExpress, El Clarín, La Vanguardia e molti altri media. In molti casi, a senso unico. Proprio mentre il Vaticano sta per firmare un accordo con la Cina durante la Settimana Santa, hanno sostenuto i più, il governo cinese rapisce un vescovo fedele al Papa per impedirgli di celebrare la Pasqua. La scelta vaticana», redarguisce Avvenire, prendendosela a quanto pare con AsiaNews che dà spesso voce al cardinale emerito di Hong Kong Joseph Zen, decisamente contrario all’accordo, «sarebbe perciò quella di preferire “il governo cinese e la Chiesa da questo sponsorizzata, la Chiesa patriottica” e di “svendere la Chiesa in Cina” e i veri cattolici cinesi, cioè i ‘clandestini’, sarebbero molto arrabbiati con il Papa e non accetteranno l’ accordo».

Un “Libro bianco” un po’ grigio

Intanto, il 3 aprile l’Ufficio stampa del Consiglio di Stato cinese ha pubblicato il libro bianco «Politiche e pratiche della RPC sulla garanzia della libertà di religione». Lo descrive AsiaNews lo stesso giorno in un’analisi a firma di Bernardo Cervellera, che subito sotto al titolo (“Libro bianco sulle religioni: Pechino difende se stessa”) riassume così il documento: «Molte le acrobazie intellettuali sulla difesa dei credenti e la proibizione ai membri del Partito di seguire una qualche religione; i vincoli per gli stranieri; l’indipendenza e l’auto-sufficienza “scelte” dei credenti. Statistiche improbabili: si calcolano solo i credenti delle comunità ufficiali. Poca “obbiettività” e “scientificità”».

Durante la presentazione, Chen Zongron, uno dei responsabili degli Affari Religiosi, ha sottolineato che «la Cina è sempre stata sincera in merito al miglioramento delle relazioni con il Vaticano. Abbiamo compiuto passi concreti verso questo obiettivo e manteniamo un canale fluido di comunicazioni» con la Santa Sede. Ha ribadito che il suo Paese tiene fede al «principio» di «non permettere che entità straniere interferiscano negli affari cinesi» e che Pechino cerca una gestione «più democratica » della religione cattolica, al fine di evitare «la dittatura di un solo uomo».
 

Il documento segnala che in Cina ci sono circa 200 milioni di persone che praticano una religione (serviti da 380mila fra sacerdoti, imam, pastori, ecc.) e che i cattolici 6 milioni. Poiché non si fa riferimento alla Chiesa “sotterranea”, quella fedele a Roma, altre fonti calcolano che la cifra dei fedeli cattolici potrebbe raggiungere i 12 milioni. 
(Eletta Cucuzza, Adista Notizie n° 13 del 14/04/2018)

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