venerdì, Aprile 19, 2024

Come posso vivere sapendo che devo morire?

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
Oggi sono stato invitato ad una tavola rotonda sulla questione del “fine vita”. Ultimamente si è parlato tanto di questo tema. Credo sia una bella opportunità per tornare a pensare alla nostra inevitabile compagna di viaggio: la morte. La nostra epoca ha cancellato la morte: è tabù. Un tempo non si poteva parlare di sesso, oggi non si può parlare di morte. E’ un tema scabroso, sconveniente; un aspetto da tenere nascosto. Bisogna possibilmente far finta che non esista. Così, a forza di far finta, stiamo vivendo come se non dovessimo morire mai. Progettiamo la vita senza mettere in conto la morte. E quando lei fa capolino ci troviamo “sorpresi”, quasi fosse “cosa strana”. Diciamo: “Che sfortunato, quel tale è morto!”. Ma non è sfortunato; è morto perché è un uomo. E’ mortale. La morte non è un imprevisto. Purtroppo è prevista dal giorno della nascita. Pertanto solo se ti misuri con lei sei un uomo autentico (come diceva M. Heidegger). Con lei sei nudo, sei umano, sei solo te stesso. Con lei senti la forza delle domande vere: che senso ha la tua vita? Per cosa vivi? Su cosa ti appoggi? In una parola: “Come puoi vivere sapendo che devi morire?” Alla luce di queste domande impari che ogni attimo non è mai scontato. Ogni attimo è prezioso, ogni attimo è un regalo. Sono vivo, respiro, guardo il sole, mangio…potrei essere morto, potrei non essere più. Ogni attimo è un incredibile regalo. Ed ho bisogno di capire perché sto scegliendo di vivere questo istante, perché vale la pena alzarsi al mattino, andare al lavoro, sopportare il compagno di classe. Per chi? E, soprattutto, ogni giorno ho bisogno di trovare strumenti che mi aiutino ad amare la vita, pur sapendo che devo morire. Strumenti che mi aiutino ad assaporare ogni istante, anche quelli faticosi. Strumenti che mi aiutino a dire: “Questo è proprio il posto dove voglio essere”. La morte è una terribile ed appassionante domanda sulla vita. Per cosa vivi, per chi vivi? Per cosa ti stai giocando l’esistenza? E non possiamo rispondere a caso. Ne va, addirittura, della vita. Neppure possiamo rispondere da soli.
Abbiamo bisogno di cercare con altri le risposte. Anzi, abbiamo bisogno degli altri per reggere a queste domande. E continuare a vivere, anzi ad amare la vita. 
La morte esige relazioni, desiderio, curiosità. 
La morte ci insegna ancora a “fare comunità”.  
Non solo per evitare di morire da soli, ma per evitare di vivere da soli.
 
Derio Olivero, vescovo (L’Eco del Chisone, 25 aprile)

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