martedì, Aprile 23, 2024

La mamma: ipocrisia di una festa

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

In Italia (e non solo) la madre, da tempi immemorabili, rappresenta il fulcro della famiglia. E non sempre per volontà sua. Ma piuttosto perché, il patriarcato, ha “volenterosamente” lasciato nelle sue mani, la maggior parte degli oneri educativi ed assistenziali di cui la famiglia aveva/ha bisogno.
Non per sua scelta ha dovuto, nei secoli dei secoli, farsi carico di tutte quelle problematiche che includevano il “servizio”.
Infatti per gli uomini la parola “servizio”, (a parte quello militare!) ha sempre avuto come significato profondo, uno “sminuirsi”, una sorta di “resa” davanti all’altro sofferente o bisognoso di cure, un “sacrificarsi” inutile (nell’economia della prevaricazione! Dei soldi!) per coloro che nella società non contano nulla: i bambini, i vecchi, i malati, i disabili.
Infine questo ruolo di “mamma”, intesa come ultima spiaggia a cui il debole si affida, è stato poi ammantato culturalmente (forse per un inconscio tentativo di riparazione), da una aureola di finto apprezzamento: dunque poesie e feste, canzoni e fiori, regali e lacrime di commozione.
Persino la Madonna è rimasta vittima di questa visione limitata della donna, costretta ad essere solo “madre”, “madre del Figlio” “madre di tutti” “misericordiosa” …
Anche lei viene implorata non per la sua  immagine di donna coraggiosa, maestra di vita, ma solo come mediatrice per noi presso il Figlio. Una mamma alla quale un figlio non può dire di no, perché la “mamma è sempre la mamma”. Ancora un ruolo in definitiva secondo, consolatore, inchinato al patriarcato.
Fino alla metà del secolo scorso, in una civiltà prevalentemente contadina, alla madre era chiesto di essere docile alla fecondazione, di soprassedere al fatto che il carico di figli l’avrebbe distrutta fisicamente/psichicamente, di inchinarsi alle voglie sessuali del marito anche se ciò la disgustava e la umiliava.
All’interno della grande famiglia, (che dobbiamo riscattare da un’immagine spesso troppo idilliaca e quindi falsa), tutto lo sforzo dell’ “accudimento” era suo. E non solo quello.
Negli ultimi anni tutto è cambiato, ma nulla per la madre, è cambiato. Anche se la famiglia non è più grande e vive barricata nel suo “privato”… (cioè è  “priva” anche di quelle relazioni che la rendevano in passato più sopportabile!).
Anche se il matrimonio è per amore. Anche se si hanno più soldi e più comodità in casa. 
Anche oggi la mamma è quasi sempre sola, quando si presenta a scuola per sapere che fa suo figlio.
E’ quasi sempre sola, nel  parlatorio del carcere se il figlio è recluso.

 

E’ quasi sempre la sola che, se il figlio si droga, cerca aiuto, lo accompagna, lo ama comunque.

 

E’ quasi sempre sola quando si parla dell’educazione religiosa…
La figlia/mamma accudisce (ancora!) i genitori anziani, i suoceri anziani, i parenti disabili, i figli malati… e la mamma/nonna è (ancora!) sempre pronta ad accogliere i nipoti anche quando le sue forze sono al limite. Tutto ciò con la scusa che le donne ci sanno più fare, capiscono subito il bisogno, si attivano in fretta… Comodo eh!
La moglie/mamma sopporta la stanchezza del marito, le sue esigenze, la sua delega a fare tutto ciò che in qualche modo è pesante e “fastidioso”. Ma mi raccomando sempre sorridente eh… perchè sennò che mamma è?
La cosa nuova, la cosa diversa è che la mamma ora lavora anche fuori casa.
Ah che successo! Che liberazione… Ma anche lì, dove il suo talento dovrebbe essere considerato, che succede? Il suo stipendio è inferiore a quello dell’uomo, deve sopportare “il capo” umorale, difendersi dai colleghi che le impongono commenti e apprezzamenti non sempre graditi, essere criticata perché è ancora incinta (ma la mamma non era santa?), avere il dono dell’ubiquità, mezza testa in ufficio e l’atra mezza a casa/ scuola/ ospedale/ casa di riposo… 
Una trappola, l’essere considerate indispensabili/generose/sempre pronte, nella quale le donne cadono ancora …e ancora…e ancora.
 
“La cosiddetta festa della mamma” a ben vedere dunque, è uno scaricarsi la coscienza, un dimostrare un affetto quanto meno interessato, un allinearsi al pensiero comune che si possono riparare le ingiustizie con “le cose”, “i soldi”, “le belle parole”.
Anche la nostra Chiesa si accoda: una Chiesa che delle donne ha accettato, se non preteso un silenzioso servizio, ma che mai le ha prese in considerazione per la loro intelligenza, le loro proposte, le loro immense capacità di insegnare un amore disinteressato e umile.
Sì, insegnare. Sì, intelligenza. Sì, grandiosa capacità di cogliere l’essenziale del messaggio evangelico. 
“Venite entrate nel Regno (…) Perché io ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere: ero forestiero e mi avete ospitato nella vostra casa; ero nudo e mi avete dato i vestiti; ero malato e mi avete curato; ero in prigione e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 34-36)

 

Ma di che cosa hanno diritto le donne/le madri? Direi considerazione, rispetto, ascolto, uguaglianza. Certamente non sono perfette, sono solo esseri umani e come tali deboli, fragili, perfettibili. Ma sono nostre sorelle, figlie dello stesso padre, un padre che, diversamente da noi non fa differenze, non pone limiti, non impone letture mortificanti dei ruoli…
Se leggessimo con cuore aperto la Bibbia scopriremmo quale fiducia, quale amore ha dimostrato Dio alle donne e quanto ciò sia stato minimizzato e tenuto nascosto dal potere maschile di tutti i tempi!
Detto tutto ciò, meditato su tutto ciò, ci accorgiamo che “un fiore” non basta.
don Paolo Zambaldi

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