giovedì, Marzo 28, 2024

Per l’esercito israeliano la penna e la telecamera sono dei nemici

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
Saremo orgogliosi di violare questa legge. Abbiamo il dovere di violare questa legge, come ogni legge liberticida. Non smetteremo di documentare la realtà. Non smetteremo di fotografare. Non smetteremo di scrivere, con tutte le nostre forze. 
Le associazioni di difesa dei diritti umani faranno lo stesso e con loro, spero, i testimoni oculari palestinesi, che naturalmente pagheranno il prezzo più alto per questo. Secondo la proposta di legge approvata il 10 giugno dal comitato legislativo ministeriale, che però ha chiesto la modifica di alcune parole prima di sottoporla alla Knesset, gli individui che documentano le azioni dei soldati dell’esercito israeliano in Cisgiordania potranno essere incarcerati, in determinate circostanze, per un periodo fino a cinque anni. 
Bella iniziativa quella del deputato Robert Ilatov, un democratico, appartenente a un partito difensore della libertà, Yisrael Beiteinu. La sua proposta di legge serve solo a dimostrare quanto l’esercito israeliano abbia da nascondere, ciò di cui si vergogna, quello che c’è da nascondere, al punto che persino la telecamera e la penna sono diventati suoi nemici. Mentre Ilatov si schiera contro il terrorismo delle telecamere, Israele si erge contro la verità. 
In un’epoca in cui la polizia israeliana equipaggia i suoi agenti con telecamere da indossare, che secondo le forze di sicurezza sono state efficaci per ridurre la violenza della polizia, Israele sta cercando di far sparire le telecamere dai territori occupati, il vero teatro del suo disonore, in modo che la verità non venga rivelata e l’ingiustizia venga minimizzata. 

Senza telecamere, il caso Elor Azaria (il soldato israeliano che ha ucciso un palestinese ferito e steso a terra, e liberato dopo nove mesi di carcere) non sarebbe esistito. Senza telecamere ci sarebbero molti più Azaria. È esattamente questo l’obiettivo della legge: avere molti Azaria. Non che documentare i fatti permetta di prevenire qualcosa. L’esercito e la popolazione d’Israele non si curano più molto delle violazioni dei diritti umani e dei crimini di guerra commessi nei territori occupati, e anche la maggior parte dei giornalisti non sembra più molto interessata. 

E pensare che durante la prima intifada rompere delle ossa con una pietra di fronte alle telecamere di un canale statunitense aveva creato uno scandalo. Oggi nessuno è più turbato da simili immagini. Anzi, c’è da chiedersi se verrebbe intrapresa qualche battaglia per pubblicarle. Ma i soldati d’Israele hanno imparato a trattare la telecamera e la penna come un nemico. Se un tempo presentavamo le nostre credenziali stampa ai posti di blocco, oggi le nascondiamo in modo che i soldati non ci colgano con le mani nel sacco. Una volta siamo stati persino arrestati.

Già oggi raccontare l’occupazione significa violare la legge. Agli israeliani è vietato entrare nell’area A, controllata dai palestinesi, e i giornalisti devono “coordinare” il loro ingresso con l’ufficio del portavoce dell’esercito israeliano. Ma dal momento che non può esistere un vero giornalismo “coordinato”, tranne che per i corrispondenti militari in Israele, noi ignoriamo quest’ordine ridicolo, mentiamo ai posti di blocco, inganniamo, entriamo di soppiatto, usiamo tattiche d’aggiramento e ci muoviamo in tutta la Cisgiordania. 
Dove siete stati, chiedono i soldati dopo ogni visita a Hebron. A Kiryat Arba. Che cosa facevate da quelle parti? Abbiamo amici che vivono lì. Dal momento che solo una manciata ormai trascurabile di giornalisti continua ad andarci, le autorità chiudono un occhio. 
L’arma della verità
Ma la tecnologia e l’ong B’Tselem hanno dato vita a un nuovo nemico: le videocamere che vengono consegnate ai volontari palestinesi, e con esse anche i telefoni, messi nelle mani dei palestinesi o dei volontari dell’associazione Machsom Watch. Improvvisamente diventa più difficile insabbiare e mentire, è impossibile inventare di sana pianta coltelli e altri pericoli immaginari dopo ogni uccisione per futili motivi. Chi ci salverà quindi? Ilatov e la sua proposta di legge che, naturalmente, ha raccolto il plauso di un altro noto democratico, il ministro della difesa Avigdor Lierberman.
 
Nel 2003, quando i soldati dell’esercito israeliano hanno aperto il fuoco sull’auto blindata, con targa israeliana e con la scritta “stampa” in evidenza, che stavamo guidando a Tul Karm, l’allora portavoce dell’esercito, il generale Miri Regev, aveva chiesto al direttore di Haaretz, che aveva prontamente cercato di porre fine all’incidente, per quale motivo ci trovavamo da quelle parti. Da allora Israele non ha smesso di porre la stessa domanda. Adesso la Knesset potrebbe davvero passare all’azione: non solo contro la stampa, con la quale si muove con prudenza, ma soprattutto contro le organizzazioni umanitarie e gli abitanti palestinesi, gli ultimi testimoni in grado di denunciare l’occupazione. Israele sta dicendo loro: non ci saranno più prove incontrovertibili. 
(Gideon Levy, Haaretz, Israele, l’Internazionale, 20 giugno 2018)

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