giovedì, Marzo 28, 2024

Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

“Vedere, giudicare (discernere), agire”: questo il metodo tutto latinoamericano – perché la Chiesa sia sempre incarnata nel procedere dell’umanità – che costituisce l’ossatura del Documento preparatorio del Sinodo panamazzonico, l’Assemblea speciale dei vescovi che si terrà nell’autunno del 2019, e che ha per titolo “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”.
I. VEDERE. IDENTITÀ E GRIDO DELLA PANAMAZZONIA
1. Il territorio
Il bacino amazzonico rappresenta per il nostro pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (dal 30 al 50% della flora e fauna del mondo), di acqua dolce (20% dell’acqua dolce non congelata di tutto il pianeta); possiede più di un terzo dei boschi primari del pianeta e, benché i maggiori serbatoi di carbonio siano in realtà gli oceani, non per questo si può ignorare il lavoro di raccolta di carbonio in Amazzonia. Si tratta di più di sette milioni e mezzo di chilometri quadrati, con nove Paesi che si spartiscono questo grande bioma (Brasile, Bolivia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela, includendo la Guyana Francese come territorio d’oltremare).
Anche il cosiddetto “Massiccio della Guayana” (“Isla de la Guayana”), delimitato dai corsi dell’Orinoco e del Rio Negro, dal Rio delle Amazzoni e dalle coste atlantiche dell’America del Sud tra le foci dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni, fa parte di questo territorio. Pure altre regioni appartengono a questo territorio, perché sono sottoposte allo stesso regime climatico e geografico a causa della loro vicinanza all’Amazzonia. Ciononostante, questi dati non delineano una regione omogenea.
Costatiamo come l’Amazzonia abbia al suo interno molti tipi di “Amazzonie”. In tale contesto è l’acqua, attraverso le sue vallate, i fiumi e i laghi, a configurarsi come l’elemento articolante e unificante, considerando come asse principale il Rio delle Amazzoni, il fiume che è madre e padre di tutti. In un territorio così diversificato si può ben comprendere che i vari gruppi umani che lo abitano abbiano dovuto adattarsi alle differenti realtà geografiche, eco-sistemiche e politiche.
Il lavoro della Chiesa Cattolica in Amazzonia, nel corso di molti secoli, si è orientato a dare risposta a questi variegati contesti umani e ambientali.
2. Varietà socio-culturale
Date le sue proporzioni geografiche, l’Amazzonia è una regione in cui vivono e convivono popoli e culture diverse, con differenti stili di vita.
L’occupazione demografica dell’Amazzonia precede il processo colonizzatore di molti anni, talvolta migliaia di anni. Fino alla colonizzazione la popolazione si concentrava soprattutto sulle rive dei grandi fiumi e laghi, per una questione di sopravvivenza che abbracciava le attività della caccia, della pesca e della coltivazione delle terre inondabili. Con la colonizzazione e con la pratica diffusa della schiavitù indigena, molti popoli dovettero abbandonare quei luoghi e rifugiarsi all’interno della foresta. Al tempo stesso, nella prima fase della colonizzazione, si ingenerò un processo di sostituzione della popolazione, che determinò una forte concentrazione demografica sulle sponde dei fiumi e dei laghi.
 
Al di là delle circostanze storiche, i popoli delle acque, in questo caso dell’Amazzonia, hanno avuto sempre in comune un rapporto di interdipendenza con le risorse idriche. Per questo i contadini e le famiglie utilizzano le risorse delle terre inondabili affidandosi al movimento ciclico dei loro fiumi – inondazioni, riflussi e periodi di siccità –, in un rapporto di rispetto fondato sulla consapevolezza che “la vita dirige il fiume” e “il fiume dirige la vita”. Inoltre, i popoli della foresta, che sono fondamentalmente raccoglitori e cacciatori, sopravvivono con ciò che la terra e il bosco offrono loro. Questi popoli vigilano sui fiumi e hanno cura della terra, nello stesso modo in cui la terra ha cura di loro. Sono i custodi della foresta e delle sue risorse.
Oggi, tuttavia, la ricchezza della foresta e dei fiumi amazzonici si trova minacciata dai grandi interessi economici che si concentrano in diversi punti del territorio. Tali interessi provocano, fra le altre cose, l’intensificazione della devastazione indiscriminata della foresta, la contaminazione di fiumi, laghi e affluenti (per l’uso incontrollato di prodotti agrotossici, spargimento di petrolio, attività mineraria legale e illegale, dispersione dei derivati della produzione di droghe). A ciò si aggiunge il narcotraffico, che, sommato a quanto detto, mette a repentaglio la sopravvivenza dei popoli che dipendono delle risorse animali e vegetali di questi territori.
D’altra parte, le città dell’Amazzonia sono cresciute molto rapidamente, accogliendo molti migranti e profughi costretti a fuggire dalle loro terre e sospinti verso le periferie dei grandi centri urbani che si protendono in direzione della foresta. In maggioranza sono popoli indigeni, popoli delle rive dei fiumi e popoli di origine africana, espulsi dall’industria mineraria legale e illegale e da quella dell’estrazione petrolifera, accerchiati progressivamente dall’espansione delle attività di disboscamento. Costoro sono i più colpiti dai conflitti agrari e socio-ambientali. Anche le città si caratterizzano per le disuguaglianze sociali. La povertà che si è prodotta lungo la storia ha ingenerato rapporti di sottomissione, di violenza politica e istituzionale, aumento del consumo di alcool e di droghe – sia nelle città che nelle comunità rurali – e rappresenta una ferita profonda inferta ai diversi popoli amazzonici.
I movimenti migratori più recenti all’interno della regione amazzonica si caratterizzano, soprattutto, per il trasferimento degli indigeni dai loro territori d’origine alle città. Attualmente fra il 70 e l’80% della popolazione della Panamazzonia risiede nelle città. Molti di questi indigeni non hanno documenti o sono irregolari, rifugiati, abitanti delle rive dei fiumi o appartengono ad altre categorie di persone vulnerabili. Di conseguenza cresce in tutta l’Amazzonia un atteggiamento xenofobo e di criminalizzazione verso i migranti e i profughi. Questo, al tempo stesso, favorisce lo sfruttamento delle popolazioni amazzoniche, vittime del mutamento di valori dell’economia mondiale, in base al quale il guadagno è più importante della dignità umana. Si può trovare un esempio di ciò nella crescita drammatica del traffico di persone, specialmente donne, ai fini dello sfruttamento sessuale e commerciale. Le donne perdono così il loro protagonismo nei processi di trasformazione sociale, economica, culturale, ecologica, religiosa e politica delle loro comunità.
In sintesi, la crescita smisurata delle attività agricole, estrattive e di disboscamento dell’Amazzonia non solo ha danneggiato la ricchezza ecologica della regione, della sua foresta e delle sue acque, ma ha anche impoverito la realtà sociale e culturale. Ha obbligato a uno sviluppo umano non “integrale” né “inclusivo” del bacino amazzonico. Come risposta a questa situazione si percepisce, comunque, un incremento delle competenze organizzative e un progresso della società civile, con particolare attenzione alle problematiche ambientali. Nel campo dei rapporti sociali, e malgrado i limiti, la Chiesa Cattolica ha in generale portato avanti un lavoro significativo, rafforzando i propri cammini a cominciare dalla sua presenza incarnata nel territorio e dalla sua creatività pastorale e sociale.
3. Identità dei popoli indigeni
Nei nove Paesi che compongono la regione panamazzonica si registra la presenza di circa tre milioni di indigeni, che rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti. Inoltre esistono nel territorio, secondo dati delle istituzioni specializzate della Chiesa (per esempio il Consiglio Indigeno Missionario del Brasile) e altre, fra i 110 e i 130 Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV) o “popoli liberi”. In aggiunta, negli ultimi tempi, sta facendo la sua comparsa una nuova categoria costituita dagli indigeni che vivono nel tessuto urbano, alcuni dei quali restano riconoscibili mentre altri in quel contesto tendono a dissolversi e per questo sono chiamati “invisibili”. Ognuno di questi popoli rappresenta un’identità culturale particolare, una ricchezza storica specifica e un modo peculiare di guardare la realtà e ciò che li circonda, nonché di rapportarsi con tutto questo a partire da una visione del mondo e da un’appartenenza territoriale specifiche.
Oltre alle minacce che emergono dall’interno delle loro culture, i popoli indigeni hanno subito forti minacce esterne fin dai primi contatti con i colonizzatori (cf. LS 143, DAp 90). Contro tali minacce i popoli indigeni e le comunità amazzoniche si organizzano, lottando per la difesa della loro esistenza e delle loro culture, dei loro territori e dei loro diritti, e della vita dell’universo e della creazione intera. I più vulnerabili, tuttavia, sono i PIAV, che non possiedono strumenti di dialogo e di negoziazione con gli agenti esterni che invadono i loro territori.
Alcuni “non indigeni” fanno difficoltà a capire il diverso modo di essere degli indigeni e, molte volte, non rispettano la differenza di cui l’altro è portatore. Il Documento di Aparecida a proposito del rispetto degli indigeni e degli afroamericani afferma: «La società tende a disprezzarli, non riconoscendo la loro differenza. La loro situazione sociale è segnata dall’esclusione e dalla povertà» (DAp 89). Tuttavia, come ha sottolineato Papa Francesco a Puerto Maldonado, «la loro visione del cosmo, la loro saggezza hanno molto da insegnare a noi che non apparteniamo alla loro cultura. Tutti gli sforzi che facciamo per migliorare la vita dei popoli amazzonici saranno sempre pochi» (Fr. PM).
Negli ultimi anni, i popoli indigeni hanno iniziato a scrivere la loro storia e a descrivere in modo più preciso le loro culture, abitudini, tradizioni e saperi. Hanno scritto sugli insegnamenti ricevuti dai loro antenati, genitori e nonni, insegnamenti che rappresentano memorie personali e collettive. Oggi l’essere indigeno si definisce non solo a partire dall’appartenenza etnica. Esso si riferisce anche alla capacità di mantenere tale identità senza isolarsi dalle società circostanti e con le quali si interagisce.
A fronte di questo processo d’integrazione, sorgono organizzazioni indigene che cercano di approfondire la storia dei loro popoli, per orientarne la lotta per l’autonomia e l’autodeterminazione: «È giusto riconoscere che esistono iniziative di speranza che sorgono dalle vostre stesse realtà locali e dalle vostre organizzazioni e cercano di fare in modo che gli stessi popoli originari e le comunità siano i custodi delle foreste, e che le risorse prodotte dalla loro conservazione ritornino a beneficio delle vostre famiglie, a miglioramento delle vostre condizioni di vita, della salute e dell’istruzione delle vostre comunità» (Fr.PM). Ciononostante, nessuna iniziativa può ignorare che il rapporto di appartenenza e di partecipazione che chi abita in Amazzonia stabilisce con il creato fa parte della sua identità e contrasta con una visione mercantilista dei beni della creazione (cf. LS 38).
In molti di questi contesti, la Chiesa Cattolica è presente mediante missionari e missionarie impegnati nelle cause dei popoli indigeni e amazzonici.
4. Memoria storica ecclesiale
L’inizio della memoria storica della presenza della Chiesa in Amazzonia si può situare nello scenario dell’occupazione coloniale della Spagna e del Portogallo. L’incorporazione dell’immenso territorio amazzonico nella società coloniale e il suo successivo passaggio di proprietà agli Stati nazionali è un lungo processo durato più di quattro secoli. Fino all’inizio del secolo XX, le voci in difesa dei popoli indigeni erano fragili, benché non assenti (cf. Pio X, Lettera Enciclica Lacrimabili Statu, 7.VI.1912). Con il Concilio Vaticano II queste voci si rafforzano. Per incoraggiare «il processo di cambiamento grazie ai valori evangelici» la II Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano riunita a Medellín (1968), nel suo Messaggio ai Popoli dell’America Latina, ha rammentato che «malgrado i suoi limiti», la Chiesa «ha vissuto insieme al le nostre popolazioni il processo di colonizzazione, liberazione e organizzazione». In seguito la III Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano riunita a Puebla (1979) ci ha ricordato che l’occupazione e la colonizzazione del territorio amerindo è stato «un gigantesco processo di dominazioni», pieno di «contraddizioni e lacerazioni» (DP 6). E, ancora più tardi, la IV Conferenza di Santo Domingo (1992) ha richiamato la nostra attenzione su «uno degli episodi più tristi della storia latinoamericana e dei Caraibi», che «è stato il trasferimento forzato di un enorme numero di africani come schiavi». San Giovanni Paolo II ha chiamato questo trasferimento un «olocausto sconosciuto» al quale «hanno preso parte persone battezzate ma che non hanno vissuto la loro fede» (DSD 20; cf. Giovanni Paolo II, Discorso nell’Isola di Gorée, Senegal, 22.II.1992, n. 3; Messaggio agli Afroamericani, 12.X.1992, n. 2). Per questo «oltraggio scandaloso nella storia dell’umanità» (DSD 20), il Papa e i delegati in Santo Domingo hanno chiesto perdono.
Oggi, purtroppo, esistono ancora tracce residuali del progetto colonizzatore che ha generato rappresentazioni di inferiorità e di demonizzazione delle culture indigene. Queste tracce indeboliscono le strutture sociali indigene e rendono possibile il fatto che essi vengano privati delle loro conoscenze intellettuali e dei loro mezzi di espressione. Ciò che spaventa è che fino a oggi, dopo 500 anni dalla conquista, dopo all’incirca 400 anni di missione ed evangelizzazione organizzata e dopo 200 anni dall’emancipazione dei Paesi che compongono la Panamazzonia, simili tendenze continuano a svilupparsi sul territorio e tra i suoi abitanti, vittime oggi di un neocolonialismo feroce, «mascherato da progresso». Probabilmente, come ha affermato Papa Francesco a Puerto Maldonado, i popoli originari amazzonici non sono stati mai così minacciati come adesso. Oggi, a causa dell’offesa scandalosa dei «nuovi colonialismi», «l’Amazzonia è una terra disputata su diversi fronti» (Fr. PM).
Nella sua storia missionaria, l’Amazzonia è stata luogo in cui si è testimoniato concretamente cosa significa stare sulla croce, addirittura essa è stata molte volte luogo di martirio. Anche la Chiesa ha imparato che in questo territorio, abitato da circa diecimila anni da una grande diversità di popoli, le diverse culture si costruiscono in un rapporto armonioso con l’ambiente circostante. Le culture precolombiane hanno offerto al cristianesimo iberico che accompagnava i conquistatori molteplici ponti e possibili elementi di contatto, «come l’apertura all’azione di Dio, il senso della gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la valorizzazione della famiglia, il senso di solidarietà e di corresponsabilità nel lavoro comune, l’importanza del culto, il credere in una vita ultraterrena e tanti altri valori» (DSD 17).
5. Giustizia e diritti dei popoli
Papa Francesco, nella sua visita a Puerto Maldonado, ha invitato a modificare il paradigma storico in base al quale gli Stati considerano l’Amazzonia come un deposito di risorse naturali, passando sopra la vita dei popoli originari e non preoccupandosi della distruzione della natura. Il rapporto armonioso fra il Dio Creatore, gli esseri umani e la natura si è spezzato a causa degli effetti nocivi del neoestrattivismo e della pressione dei grandi interessi economici che sfruttano il petrolio, il gas, il legno, l’oro, e anche a causa della costruzione di opere infrastrutturali (per esempio: megaprogetti idroelettrici e reti stradali, come le superstrade interoceaniche) e delle monocolture industriali (cf. Fr. PM).
La cultura imperante del consumo e dello scarto trasforma il pianeta in una grande discarica. Il Papa denuncia questo modello di sviluppo come anonimo, asfissiante, senza madre; ossessionato soltanto dal consumo e dagli idoli del denaro e del potere. Si impongono nuovi colonialismi ideologici mascherati dal mito del progresso, che distruggono le identità culturali proprie. Francesco esorta a difendere le culture e a riappropriarsi dell’eredità che proviene dalla saggezza ancestrale, la quale propone un rapporto armonioso fra la natura e il Creatore, ed esprime con chiarezza che «la difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita» (Fr. PM). La si deve considerare terra santa: «Questa non è una terra orfana! Ha una Madre!» (Fr. EP).
D’altronde, la minaccia contro i territori amazzonici «viene anche dalla perversione di certe politiche che promuovono la “conservazione” della natura senza tenere conto dell’essere umano e, in concreto, di voi fratelli (e sorelle) amazzonici che la abitate» (Fr. PM). L’orientamento di Papa Francesco è chiaro: «Credo che il problema essenziale sia come conciliare il diritto allo sviluppo, compreso quello sociale e culturale, con la tutela delle caratteristiche proprie degli indigeni e dei loro territori. […] In questo senso dovrebbe sempre prevalere il diritto al consenso previo e informato» (Fr. FPI).
Parallelamente le popolazioni indigene, quelle contadine e altri settori della popolazione, in Amazzonia come pure a livello nazionale in ciascun Paese, sono venuti costruendo processi politici che hanno orientato le loro agende di lavoro in una prospettiva attenta ai diritti umani dei popoli. La situazione del diritto al territorio dei popoli indigeni in Panamazzonia ruota intorno a una problematica costante, quella della mancata regolarizzazione delle terre e del mancato riconoscimento della loro proprietà ancestrale e collettiva. Così anche il territorio è stato privato di un’interpretazione integrale, collegata all’aspetto culturale e alla visione del mondo propria di ogni popolo o comunità indigena.
Proteggere i popoli indigeni e i loro territori è un’esigenza etica fondamentale e un impegno fondamentale per i diritti umani. Per la Chiesa ciò si trasforma in un imperativo morale coerente con la visione di ecologia integrale di Laudato si’ (cf. LS, cap. IV).
6. Spiritualità e saggezza
Per i popoli indigeni dell’Amazzonia, il “buon vivere” esiste quando si vive in comunione con gli altri, con il mondo, con gli esseri circostanti e con il Creatore. I popoli indigeni, infatti, vivono all’interno della casa che Dio stesso ha creato e ha dato loro in dono: la Terra. Le loro diverse spiritualità e credenze li portano a vivere una comunione con la terra, l’acqua, gli alberi, gli animali, con il giorno e con la notte. I vecchi saggi, chiamati indistintamente – fra l’altro – payés, mestres, wayanga o chamanes, hanno a cuore l’armonia delle persone tra loro e con il cosmo. Tutti costoro «sono memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della Casa Comune» (Fr. PM).
Gli indigeni amazzonici cristiani comprendono la proposta del “buon vivere” come vita piena nel segno della collaborazione all’edificazione del Regno di Dio. Questo buon vivere potrà essere raggiunto solo quando si realizzerà il progetto comunitario in difesa della vita, del mondo e di tutti gli esseri viventi.
«Siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza » (LS 53). Questo sogno comincia a costruirsi all’interno della famiglia che è la prima comunità della nostra esistenza: «La famiglia è ed è sempre stata l’istituzione sociale che più ha contribuito a mantenere vive le nostre culture. In momenti passati di crisi, di fronte ai diversi imperialismi, la famiglia dei popoli originari è stata la migliore difesa della vita» (Fr. PM).
Ciononostante, è necessario riconoscere che nella regione amazzonica c’è una grande diversità culturale e religiosa. Sebbene per la maggior parte tale diversità promuova il “buon vivere” come un progetto di armonia fra Dio, i popoli e la natura, esistono anche alcune sette che, motivate da interessi esterni al territorio, non sempre favoriscono l’ecologia integrale. (…)
III. AGIRE. NUOVI CAMMINI PER UNA CHIESA DAL VOLTO AMAZZONICO 
14. Ministeri dal volto amazzonico
Attraverso molti incontri regionali in Amazzonia, la Chiesa Cattolica ha approfondito la consapevolezza che la sua universalità si incarna nella storia e nelle culture locali. In questo modo si manifesta e si realizza la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica (cf. CD 11). Grazie a tale consapevolezza, la Chiesa tiene oggi gli occhi puntati sull’Amazzonia con una visione d’insieme, che le permette di rendersi conto delle grandi sfide socio-politiche, economiche ed ecclesiali che minacciano questa regione, ma senza perdere la speranza nella presenza di Dio, alimentata dalla creatività e dalla tenace perseveranza dei suoi abitanti. Negli ultimi decenni, anche grazie al grande impulso venuto dal Documento di Aparecida, la Chiesa dell’Amazzonia ha preso coscienza che, a causa delle immense distese territoriali, della grande varietà dei popoli e dei rapidi cambiamenti degli scenari socio-economici, la sua pastorale non riusciva a garantire che una presenza precaria. Era (e continua a essere) necessaria una maggiore presenza ecclesiale, per poter rispondere a tutto ciò che è specifico di questa regione a partire dai valori del Vangelo, avendo consapevolezza, fra l’altro, dell’immensa estensione geografica, tante volte di difficile accesso, della grande diversità culturale e del forte influsso esercitato da interessi nazionali e internazionali in cerca di un arricchimento economico facile attraverso le risorse presenti nella regione. Una missione incarnata esige di ripensare la scarsa presenza della Chiesa in rapporto all’immensità del territorio e alla sua varietà culturale. La Chiesa dal volto amazzonico deve «ricercare un modello di sviluppo alternativo, integrale e solidale, fondato su un’etica attenta alla responsabilità per un’autentica ecologia naturale e umana, che sia radicata nel Vangelo della giustizia, nella solidarietà e nella destinazione universale dei beni; che superi la logica utilitarista ed individualista, che rifiuta di sottoporre ai criteri etici i poteri economici e tecnologici » (DAp 474, c). Pertanto, è necessario incoraggiare tutto il Popolo di Dio a partecipare alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re (cf. LG 9), e a non rimanere indifferente di fronte alle ingiustizie della regione per poter individuare, in ascolto dello Spirito, gli auspicati nuovi cammini.
Questi nuovi cammini per la pastorale dell’Amazzonia esigono di «rilanciare l’opera delle Chiesa» (DAp 11) nel territorio e di approfondire il «processo di inculturazione» (EG 126), che domanda alla Chiesa amazzonica di avanzare proposte «coraggiose», fatte con «audacia» e «senza paura», come ci chiede Papa Francesco. Il profilo profetico della Chiesa si mostra oggi attraverso il suo profilo ministeriale partecipativo, capace di rendere i popoli indigeni e le comunità amazzoniche i «principali interlocutori» (LS 146) all’interno di tutte le questioni pastorali e socio-ambientali del territorio.
Per intervenire sulla presenza precaria della Chiesa e trasformarla in una presenza più capillare e incarnata, c’è bisogno di stabilire una gerarchia delle urgenze in Amazzonia. Il Documento di Aparecida menziona la necessità di una «coerenza eucaristica» (DAp 436) per tutta la regione amazzonica, riferendosi non solo alla possibilità che tutti i battezzati partecipino alla Messa dominicale, ma anche all’esigenza che crescano cieli nuovi e terra nuova come anticipazione del Regno di Dio in Amazzonia.
In questo senso il Vaticano II ci ricorda che tutto il Popolo di Dio partecipa al sacerdozio di Cristo, benché distinguendo tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale (cf. LG 10). Per questo è urgente valutare e ripensare i ministeri che oggi sono necessari per rispondere agli obiettivi di «una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno» (Fr. PM). Una priorità è quella di precisare i contenuti, i metodi e gli atteggiamenti di una pastorale inculturata, capace di rispondere alle grandi sfide del territorio. Un’altra priorità è quella di proporre nuovi ministeri e servizi per i diversi agenti pastorali, che rispondano ai compiti e alle responsabilità della comunità. In questa linea, occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica. È altresì necessario sostenere il clero indigeno e nativo del territorio, valorizzandone l’identità culturale e i valori propri. Infine, bisogna progettare nuovi cammini affinché il Popolo di Dio possa avere un accesso migliore e frequente all’Eucaristia, centro della vita cristiana (cf. DAp 251).
15. Nuovi cammini
Mentre pensiamo a una Chiesa dal volto amazzonico, sogniamo con i piedi per terra, la nostra terra di origine. Al tempo stesso, riflettiamo con gli occhi aperti su come questa Chiesa dovrà essere, a partire dalla concreta varietà culturale dei popoli. I nuovi cammini dovranno incidere sui ministeri, sulla liturgia e sulla teologia (teologia india)4.
La Chiesa si è indirizzata ai popoli mossa dal mandato di Gesù e dalla fedeltà al suo Vangelo. Oggi essa ha bisogno di scoprire «con gioia e rispetto i semi della Parola» (AG 11) all’interno della regione.
Tutto il Popolo di Dio, con i suoi Vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, missionari e missionarie religiosi e laici, è chiamato a entrare con cuore aperto in questo nuovo cammino ecclesiale. Tutti sono chiamati a vivere insieme alle comunità e a impegnarsi in difesa della loro esistenza, ad amarle e ad amare le loro culture. I missionari autoctoni e quelli che vengono da fuori devono coltivare la spiritualità della contemplazione e della gratuità, sentire con il cuore e guardare con gli occhi di Dio i popoli amazzonici e indigeni.
La spiritualità pratica, quella con i piedi per terra, offre la possibilità di trovare la gioia e il gusto di vivere insieme ai popoli amazzonici, e così di valorizzare le loro ricchezze culturali in cui Dio ha seminato il seme della Buona Notizia. Dobbiamo essere anche capaci di riconoscere quegli elementi presenti all’interno delle culture che, essendo storicamente condizionati, hanno bisogno di purificazione, e di lavorare per la conversione individuale e comunitaria, coltivando il dialogo a diversi livelli. La spiritualità profetica e del martirio accresce il nostro impegno per la vita dei popoli e la difesa del loro passato e del loro presente, spingendoci a guardare avanti per costruire una nuova storia.
Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni. Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra Casa Comune.
C’è bisogno di una spiritualità di comunione fra i missionari autoctoni e quelli che vengono da fuori, per imparare insieme ad accompagnare le persone, ascoltando le loro storie, partecipando ai loro progetti di vita, condividendo la loro spiritualità e facendo proprie le loro lotte. Una spiritualità con lo stile di Gesù: semplice, umano, dialogante, samaritano, che permetta di celebrare la vita, la liturgia, l’Eucaristia, le feste, sempre rispettando i ritmi propri di ogni popolo.
Incoraggiare lo sviluppo di una Chiesa dal volto amazzonico implica, per i missionari, la capacità di scoprire i semi e i frutti del Verbo già presenti nella concezione del mondo dei popoli della regione. Per fare questo è necessario assicurare una presenza stabile e conoscere la lingua autoctona, la cultura e l’esperienza spirituale di quei popoli. Soltanto così la Chiesa potrà rendere presente tra di essi la vita di Cristo.
Per concludere, e ricordando le parole di Papa Francesco, vorremmo «chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo» (Francesco, Omelia nella Messa di inizio del ministero petrino, 19.III.2013). Inoltre, vorremmo anche chiedere ai popoli dell’Amazzonia: «Aiutate i vostri Vescovi, aiutate i vostri missionari e le vostre missionarie affinché si uniscano a voi, e in questo modo, dialogando con tutti, possano plasmare una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno. Con questo spirito ho convocato un Sinodo per l’Amazzonia nell’anno 2019» (Fr. PM). 

(Assemblea speciale dei vescovi, Adista Documenti n° 24 del 29/06/2018)

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