venerdì, Aprile 19, 2024

Viaggio nell’Israele che si ribella allo “Stato-nazione” di Bibi Netanyahu

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

La rivolta contro la deriva fondamentalista e la trasformazione in uno Stato etnico. Etgar Keret all’Huffpost: “Campana a morto per la nostra democrazia”

È la rivolta dell’intellighenzia. Che s’intreccia con quella delle minoranze etniche e della comunità gay. La rivolta contro una deriva fondamentalista che uccide gli stessi ideali originari del sionismo. Una deriva che rischia di trasformare definitivamente uno Stato democratico in uno Stato etnico. Stavolta non è in gioco “solo” la pace con i Palestinesi. Stavolta la posta è l’identità stessa d’Israele, la sua essenza, il suo essere. Stavolta non esistono vie di fuga, compromessi possibili, incontri a metà strada: si vince o si perde. Lo sanno bene le centinaia di artisti, scrittori, intellettuali israeliani che sabato scorso hanno lanciato una petizione in cui si chiede al primo ministro Benjamin Netanyahu di abolire la legge dello Stato-nazione, che formalmente definisce Israele come Stato-nazione del popolo ebraico (a favore del provvedimento hanno votato 62 deputati su 120: contrari 55, compresi i rappresentanti dei partiti arabi) e una legge sulla maternità surrogata che discrimina la comunità LGTB. I firmatari, tra cui David Grossman, Amos Oz, Abraham Yehoshua, Eshkol Nevo, Etgar Keret e Orly Castel-Bloom, hanno scritto: “Ci sono delle forzature che devono essere giudicate dalla Corte Suprema, ma ci sono violazioni che toccano il cuore del popolo ebraico e la sua patria, che meritano l’attenzione degli intellettuali e del giudizio della storia”.

La legge dello stato-nazione, secondo la quale lo Stato di Israele è solo lo stato nazionale degli ebrei, autorizza espressamente la discriminazione razziale e religiosa, annulla l’arabo come lingua ufficiale accanto all’ebraico, non menziona la democrazia come fondamento del Paese e non menziona l’uguaglianza come valore di base: in quanto tale, la legge dello Stato nazione contraddice la definizione dello Stato come Stato democratico e contraddice la Dichiarazione di indipendenza su cui è stato fondato lo Stato d’Israele. E su questo la Knesset non può intervenire a colpi di maggioranza”.

I firmatari della petizione si rivolgono direttamente a Netanyahu: “Durante gli anni del tuo governo, hai costantemente eroso le fondamenta del nostro Stato: hai danneggiato i rapporti tra Israele e gli ebrei americani e hai emarginato, riducendoli alla miseria, interi settori della società israeliana. Ma il colpo più grave è per i valori di uguaglianza e responsabilità reciproca su cui si basa la società israeliana e da cui trae la sua forza”. Da qui le richieste: “Chiediamo l’immediata abolizione della legge dello stato-nazione, che crea una frattura tra la società israeliana e l’ebraismo americano, discrimina gli arabi, i drusi e i beduini e mina la convivenza della maggioranza ebraica in Israele con le sue minoranze. richiedi la tua risposta immediata alla richiesta di uguaglianza per i membri della comunità LGBT“. “Queste leggi violano il diritto alla genitorialità dei membri della comunità LGBT, si uniscono a una lunga lista di misure prese dal governo israeliano sotto la tua guida che hanno danneggiato altri settori della società israeliana, colpendo i malati, gli anziani, i sopravvissuti all’Olocausto, disabili, madri single e immigrati etiopi”. 
“Quando in discussione vi sono i fondamenti stessi della convivenza civile, quando ogni diversità viene vissuta e trattata come una minaccia da estirpare, quando l’essere ebreo viene usato per discriminare e non per includere, come è stato nella nostra storia, allora quello è il tempo di una rivolta culturale, etica, democratica. La legge sullo Stato-nazione e quella che discrimina la comunità LGTB sono più che un campanello d’allarme, esse rischiano di essere una campana a morto per la nostra democrazia”, dice ad HuffPost Etgar Keret. La sua presenza tra i promotori della petizione è tanto più importante perché parla ai giovani, che hanno decretato il suo successo.

Etgar Keret è tra i più popolari scrittori israeliani della nuova generazione. I suoi libri, tradotti in trentacinque Paesi (in Italia editi da Feltrinelli) e trentuno lingue, gli hanno valso molti premi prestigiosi e un riconoscimento unanime a livello internazionale. Il suo cortometraggio Skin Deep ha vinto numerosi premi internazionali, mentre il suo primo lungometraggio, Meduse, girato insieme alla moglie Shira Gefen, ha vinto a Cannes il premio Caméra d’Or nel 2007.

“La coesione nazionale è un bene prezioso, che questa legge mette a repentaglio – ci dice Eshkol Nevo, un altro degli scrittori più affermati della nuova generazione, nipote di Levi Eshkol, che fu il terzo Primo ministro d’Israele -. “Proprio perché andiamo fieri del nostro sistema democratico – aggiunge Eskhol Nevo – dobbiamo batterci perché non sia affossato da leggi che invece di esaltare il principio di uguaglianza, codificano una discriminazione tra cittadini dello stesso Stato”. A ribellarsi non sono solo le minoranze etniche, a cominciare dagli arabi israeliani (1.485.00 persone, circa il 20% della popolazione). La protesta si è estesa anche alla comunità drusa, che in Israele guarda principalmente a destra e che, a differenza dei palestinesi nati in Israele, svolge il servizio militare in Tsahal o presta servizio nella Guardia di frontiera. Per questo, è un segno dei tempi la lettera aperta che il capitano Amir Jmall, membro della comunità drusa d’Israele, ha rivolto al primo ministro Netanyahu sulla sua pagina Facebook: nella lettera, il capitano Jmall ha annunciato di voler chiudere la sua carriera militare e lasciare l’esercito, in segno di protesta per la legge sullo Stato-nazione. Non basta. Nella stessa lettera, Jmall ha anche chiesto ai leader della comunità drusa di lavorare per porre fine alla coscrizione obbligatoria dei Drusi nell’Idf (Le Forze armate israeliane). Tre parlamentari drusi, di tre partiti diversi, hanno deciso di rivolgersi all’Alta Corte di Giustizia israeliana perché annulli la legge o, in subordine, ne cassi alcune parti sulla base della violazione dei diritti fondamentali, compreso il diritto all’uguaglianza. Nella legge, sostengono i tre parlamentari drusi, le minoranze non hanno uno status. Quella legge, insistono, “esilia i Drusi e altri gruppi, nonostante la lealtà manifestata allo Stato, la cui sicurezza hanno contribuito a difendere prestando servizio militare e pagando un alto tributo di sangue”. Si sentono traditi. Tra i tre appellanti c’è Hamad Amar, parlamentare di “Yisrael Beitenu”, il partito della destra ultranazionalista vicino al movimento dei coloni, il cui leader è il ministro dell’Educazione Naftali Bennett che è tra i più fieri sostenitori della legge, ma ha dovuto ammettere, di essersi reso conto in ritardo di come la legge abbia ferito i sentimenti della comunità drusa d’Israele. “Questo naturalmente non è nell’intenzione del governo israeliano”, ha twittato. “Questi sono i nostri fratelli di sangue, che stanno fianco a fianco con noi sul campo di battaglia e che sono entrati in un patto di vita con noi. Noi, il governo di Israele, abbiamo la responsabilità di trovare un modo per riparare la frattura”.

Una frattura che si sta allargando. Perché quella che si sta sviluppando, non è solo la rivolta delle minoranze etniche e degli intellettuali. In Israele, la rivolta è anche gay. Colorata, festosa, determinata. È l’Israele dei diritti delle minoranze che difende non solo i propri spazi sociali, culturali, legislativi, ma che pone con forza il tema dei temi oggi in Israele: quello della qualità della sua democrazia. Che per essere tale, dice ad HuffPost Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, paladina dei diritti civili, “deve essere altro dalla dittatura della maggioranza”. L’Israele che non si rassegna alla deriva etnocratica, deve fare i conti, e scontrarsi, con due importanti e pesanti leggi con implicazioni drammatiche che sono state approvate la scorsa settimana, a maggioranza, dalla Knesset prima che il Parlamento israeliano chiudesse i battenti per la pausa estiva: la legge “Stato-nazione ebraica” e la legge che regolamenta le gestazioni surrogate. Secondo la legge, coppie sposate e donne single potranno iniziare il percorso di gestazione surrogata, ma non uomini single. Nonostante il parere contrario dell’avvocato del governo, che riscontrava già due anni fa una discriminazione tra uomini e donne, il Parlamento ha votato il testo che esclude gli uomini non sposati. In questo modo le coppie omosessuali non potranno usufruire del percorso di surrogazione in Israele.

Domenica 22 luglio, decine di migliaia di dimostranti si sono riuniti, in serata, nella piazza Rabin di Tel Aviv e altre dimostrazioni si sono svolte a Gerusalemme presso la residenza ufficiale del premier Benjamin Netanyahu, a Haifa e a Beer Sheva. Le proteste avevano come obiettivo non soltanto la legge sulla gravidanza surrogata ma anche una lunga serie di discriminazioni di cui la comunità gay ritiene di essere vittima. Secondo i manifestanti mentre esiste crescente comprensione per le loro istanze nel Paese, in Parlamento si moltiplicano le resistenze anche per l’ostilità dei partiti confessionali che sostengono la coalizione del premier Netanyahu. Le loro proteste sono sostenute fra l’altro dalla centrale sindacale Histadrut nonché da decine di aziende che hanno deciso di concedere una giornata di libertà a tutti i dipendenti membri della comunità LGTB.

Secondo la stampa si è tratta del primo “sciopero LGTB” nella storia di Israele ed ha rappresentato una significativa prova di forza del movimento di fronte alle istituzioni politiche del Paese. Annota Elena Loewenthal su La Stampa: “Esponenti politici, compresi alcuni del Likud, ufficiali dell’esercito, il sindacato nazionale, e altre voci istituzionali non hanno fatto mancare la loro solidarietà alla protesta. E sui social network lo slogan ‘tutti hanno diritto a una famiglia’ accompagnato dalla bandiera arcobaleno, ha spopolato su profili di gay, etero, uomini, donne. In altre parole, quella grossa fetta d’Israele estranea alle restrizioni degli schemi tradizionali, liberale e aperta, ha alzato la voce sdegnata dal passo falso del governo – e soprattutto di Netanyahu che si è rimangiato la parola data sull’emendamento, con un gesto di sudditanza all’ala ortodossa e conservatrice dello schieramento politico…”.  
Yossi Shalom, assessore alla municipalità di Haifa per gli affari giovanili e LGTB, spiega “la legge discrimina principalmente le coppie di uomini omosessuali, ma anche uomini eterosessuali single, e per questo l’opposizione alla legge si è trasformata in una lotta principalmente di uomini omosessuali e di quanti sostengono la comunità”, nonostante siano colpiti anche uomini eterosessuali single. Lo scorso 30 aprile la Knesset ha approvato una legge che impone ai tribunali di emettere sentenze che tengano conto della legge e tradizione ebraiche”. In pratica, quando le leggi dello Stato non sono abbastanza esplicite, i giudici dovranno decidere in base alla halakha, cioè alla normativa religiosa tradizionale dell’ebraismo.

Il crescente potere degli integralisti religiosi, non si manifesta solo con le vittorie in Parlamento, ma anche annullando in pratica i progressi civili compiuti in teoria: per esempio, la vittoria festeggiata dagli omosessuali quando hanno conquistato il diritto ad adottare è stata completamente annullata dal fatto che, in nove anni, solamente tre coppie hanno potuto usufruire di questo diritto. Nei mesi scorsi, la Knesset ha bocciato tutti e cinque i disegni di legge presentati per migliorare la condizione delle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans. I disegni di legge puntavano a riconoscere le unioni civili, vietare le terapie riparative per i minori (molto praticate in Israele), riconoscere un risarcimento ai partner dei militari uccisi in azione, formare il personale sanitario perché sia preparato sulle questioni di genere e l’orientamento sessuale.

Come ha riportato il quotidiano Times of Israel, l’unico parlamentare apertamente omosessuale, Amir Ohana del Likud (il partito del premier Netanyahu), non era presente in aula per il voto. Gideon Levy, firma storica di Haaretz, censore critico, e per questo odiato, della destra ultranazionalista al potere, racconta così il “passaggio d’epoca” maturato alla Knesset: “Il Parlamento israeliano ha approvato una delle leggi più importanti della sua storia, oltre che quella più conforme alla realtà. La legge sullo Stato-nazione mette fine al generico nazionalismo di Israele e presenta il sionismo per quello che è. La legge mette fine anche alla farsa di uno Stato israeliano ‘ebraico e democratico’ una combinazione che non è mai esistita e non sarebbe mai potuta esistere per l’intrinseca contraddizione tra questi due valori, impossibili da conciliare se non con l’inganno… Se lo Stato è ebraico non può essere democratico, perché non esiste uguaglianza. Se è democratico, non può essere ebraico, poiché una democrazia non garantisce privilegi sulla base dell’origine etnica. Quindi la Knesset ha deciso: Israele è ebraica. Israele dichiara di essere lo stato nazione del popolo ebraico, non uno Stato formato dai suoi cittadini, non uno Stato di due popoli che convivono al suo interno, e ha quindi smesso di essere una democrazia egualitaria, non soltanto in pratica ma anche in teoria. È per questo che questa legge è così importante”. 
Drammaticamente importante.
(Umberto De Giovannangeli, Huffingtonpost, 01/08/2018)

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