venerdì, Marzo 29, 2024

Ilva di Taranto, rabbia tra i 2.600 operai liquidati via web: “Punito chi ha difeso l’ambiente”

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Un quinto dei lavoratori sono stati messi in cassintegrazione e non saranno assorbiti da Arcelo Mittal. “Ha perso Taranto”, accusa Mirko Maiorino, portavoce del Comitato Liberi e pensanti. Monta la rabbia contro i Cinque Stelle

Il giorno dopo la comunicazione della messa in cassintegrazione dei 2600 lavoratori Ilva arrivata via web, la reazione degli operai e è di sconforto e ira. Con la città e la fabbrica spaccate ulteriormente in due, tra chi è dentro e chi è fuori. “Ha perso Taranto”, scrive in un post Mirko Maiorino, portavoce del Comitato dei cittadini e lavoratori Liberi e pensanti, tra i destinatari della missiva senza nessun “egregio signor” nell’incipit, ma con un diretto “le comunichiamo la collocazione in Cigs”.

“Ora in azienda sono rimasti in pochissimi pronti a denunciare – aggiunge -. Da domani i tarantini non avranno più quella prima linea che provava a far breccia dall’interno. Sia chiaro che nessuno ha intenzione di fermarsi ma da fuori sarà tutto più complicato. Non siamo né santi né eroi, siamo uomini che hanno lottato per un ideale e che ora pagano per l’essere stati liberi e pensanti”

L’idea del Comitato è che le scelte, reparto per reparto, siano state mirate. Via per almeno cinque anni gli operai rompi scatole, quelli scomodi, che non piacciono ai capireparto. Per questo non avrebbero ricevuto l’offerta di assunzione dalla nuova proprietà Am Investco buona parte degli animatori del Comitato, tra i quali Massimo Battista e Davide Panico, protagonisti delle battaglie dal 2012 fuori e dentro i cancelli della fabbrica ma anche della frattura con i sindacati, a partire dalla Fiom Cgil, di cui molti, a partire da Battista e Cataldo Ranieri (dopo la comunicazione della Cassa integrazione ha annunciato di voler accettare l’incentivo e lasciare per sempre lo stabilimento), hanno fatto parte in passato.

Ma a denunciare i metodi discrezionali dell’azienda, il non rispetto dei “criteri delle mansioni, professionalità, anzianità e carichi familiari,” utilizzando “criteri unilaterali al di fuori degli accordi”, sono anche i sindacati (Fim, Fiom, Uilm e Usb) che in una nota chiedono l’intervento del ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio quale garante per il rispetto di quegli accordi.

Sono decine, infatti, i casi di lavoratori lasciati a casa nonostante i gradi di anzianità e professionalità superiori rispetto ai colleghi e, soprattutto, figli a carico. Battista, ad esempio, ne ha tre. Ma c’è il caso anche di chi ne ha cinque. Tra loro non mancano delegati sindacali, sempre tra i più battaglieri.

L’ira di molti è ora rivolta contro il Movimento 5 stelle e le promesse tradite sulla chiusura delle fonti inquinanti e la bonifica degli impianti. Ira che accomuna anche Aldo Schiedi, attivista della prima ora dei Pentastellati, che da oltre un anno ha lasciato il Movimento, deluso dai metodi non democratici e da quelle promesse che da tempo definisce “chiacchiere”. Il suo è un lungo messaggio di commiato dal reparto sottoprodotti, intriso di amarezza e rancore.

“Dopo 18 anni 10 mesi e 3 giorni la mia esperienza lavorativa in Ilva finisce qui – scrive – Sedici di questi lunghi anni trascorsi in guerra, in trincea. Hanno cercato in svariati modi di demolirmi fisicamente e psicologicamente, mandandomi nei peggiori reparti della cockeria come dal 2000 al 2016, ma non mi sono chinato e sono stato più forte e scaltro di loro. Hanno cercato di licenziarmi ma senza fortuna e difeso (sempre a mie spese) davanti ai giudici provinciali del lavoro. Ho denunciato a Spesal e Arpa tutto ciò che metteva a rischio la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini di Taranto, soprattutto nel mio reparto dove spero di aver lasciato un piacevole ricordo almeno fra i vecchi colleghi per i lavori che sono riuscito – conclude – con forza e abilità a far svolgere e a denunciare”.

C’è poi chi osserva anche un altro aspetto. Circa 800 dei lavoratori messi in cassa integrazione sono tarantini (vale a dire un terzo). Nella platea dei dipendenti del siderurgico rappresentano il 30 per cento (poco sopra i 3 mila), rispetto a quelli provenienti dai comuni della provincia e dal resto della Puglia. Il legame tra fabbrica e città e le battaglie per la salute e l’ambiente subirebbe così un ulteriore colpo.

“Riteniamo prioritario chiedere che il governo controlli il rispetto dei criteri di massima trasparenza nella gestione di questa fase. Non vorremmo che, come spesso accade in queste situazioni, la proprietà della fabbrica colga l’occasione per ‘liberarsi’ di chi è stato protagonista di lotte per la difesa delle giuste condizioni lavorative all’interno dello stabilimento e per la tutela della salute pubblica, messa a rischio dall’inquinamento eccessivo causato dalla produzione”. Lo affermano in un comunicato congiunto l’assessore allo Sviluppo economico della Regione Puglia, Mino Borraccino, e il coordinatore provinciale di Sinistra Italiana Taranto, Maurizio Baccaro.

(Gino Martina, repubblica.it, 30 ottobre 2018)

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