sabato, Aprile 20, 2024

Vie islamiche alla nonviolenza (Jawdat Said)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Nel tentativo di definire il significato di jihad, dobbiamo prendere in esame i versetti coranici in cui compare questa espressione nel loro contesto storico e nel quadro della prospettiva coranica generale. va notato che la parola jihad si ritrova nel Corano sia nella fase meccana che in quella medinese. Come si è detto in precedenza, nella fase meccana non era permesso ai musulmani di combattere, e nemmeno di difendersi. è per questa ragione che in Cor. 25, 52, non si può interpretare il termine jihad nel senso di “guerra”: “Tu non seguire i miscredenti, Ma combattili con la parola in una guerra grandiosa.”.

Il versetto in questione è disceso alla Mecca e parla del jihad nei confronti dei politeisti per mezzo del Corano e dei suoi segni, ossia un jihad basato sull’ argomentazione e la spiegazione.

La parola jihad significa in arabo prodigare uno sforzo. la sua radice è la stessa della parola ijtihad, che significa prodigare uno sforzo nel tentativo di superare una difficoltà o risolvere un problema, mentre nel diritto islamico rappresenta un termine tecnico che indica lo sforzo dei giuristi per arrivare ad un giudizio corretto.

Questo significa, che si riferisce a uno sforzo prodigato per mezzo del convincimento e del dibattito, ricorre di frequente nel Corano: “Ma quelli che si adoperano per Noi, quelli li guideremo sui Nostri sentieri. Dio è con coloro che fanno il bene” (Cor. 29, 69).

“Ma se entrambi si industrieranno affinché tu associ a Me quel che non sai, tu non ubbidirai; li accompagnerai in questa vita terrena, ma seguirai la via di chi è rivolto a Me. Tutti tornerete a Me e Io vi informerò di quel che avete compiuto” (Cor. 31, 15).

Anche le tradizioni profetiche indicano vari tipi di jihad, tutti basati sulla parola e sull’idea: “Il miglior jihad è dire la verità di fronte a un governante tiranno”. una volta che i musulmani furono costretti a combattere, sulla via del ritorno il profeta Maometto disse loro: “Siamo tornati dal jihad minore al jihad maggiore”, ossia il jihad spirituale contro le passioni dell’uomo per indirizzarlo verso il bene. Il miglior jihad è combattere contro la tua anima e le tue passioni sulla via di Dio Altissimo, afferma un’altra tradizione (Cfr. Abu Nu’aym nella sua opera Hilyah al-Awlya).

Se il significato linguistico fondamentale della parola jihad è prodigare uno sforzo, e questo sia per mezzo della scienza, che per mezzo della discussione o del dibattito, allo stesso modo potrebbe essere necessario utilizzare questo sforzo, richiesto per qualsiasi attività umana, anche in ambiti che implicano l’uso della forza, in certi casi e a certe condizioni.

L’autorizzazione a difendersi concessa i musulmani a Medina non dipende dal fatto che alla Mecca erano pochi e deboli, mentre a Medina erano diventati forti, bensì che in questa città essi costituivano ormai una piccola società nascente. A determinare il cambiamento furono la transizione dalla fase della predicazione a quella dello stato e l’emergere di nuovi doveri tra le responsabilità dello stato, tra cui la difesa e la protezione dei suoi cittadini.

 questa concessione all’autodifesa con l’impiego della forza fu poi vincolata a condizioni precise che definiscono le cause che autorizzano la guerra, chi è incaricato di condurre la guerra, ossia il mujahid, il combattente, e contro chi si combatte, in arabo mujahad didda-hu.

(…)

Il movente della guerra

 quando è concesso allora l’esercizio del jihad nel senso di guerra armata? Nel versetto coranico che autorizza i musulmani a usare la forza per difendersi sono stabiliti i movimenti e le condizioni della guerra:

“È dato permesso a quelli che combattono perché sono oppressi ingiustamente –  Dio è potente nel soccorrerli –  e a quelli che sono stati ingiustamente scacciati dalle loro case solo per aver detto: Il nostro Signore e Dio!”. (Cor. 22, 39-40).

Questo versetto stabilisce il motivo per cui è permesso combattere, ossia “sono oppressi ingiustamente”. il permesso di combattere inizia con il problema della tirannia e dell’oppressione subiti dall’uomo. Eppure, non qualsiasi forma di tirannia implica una guerra. Il versetto di cui sopra, infatti, definisce precisamente il tipo di tirannia che autorizza a combattere allo scopo di eliminarla: “(…) sono stati ingiustamente scacciati dalle loro case solo per aver detto: “il nostro Signore è Dio!”, ossia sono stati oppressi a tal punto da essere costretti a fuggire dalla loro patria e dalle loro case a causa del loro credo e della loro opinione.

Il jihad è quindi legittimo in due circostanze: in primo luogo, quando la gente Viene uccisa per via della propria fede e del proprio credo, allora il jihad è legittimato per difendere la libertà di credo e d’espressione, anche di coloro che la pensano diversamente da noi; in secondo luogo, quando si è costretti a fuggire dalle proprie case a causa della persecuzione subita per le idee e il credo professati.

Stando alle condizioni precise che autorizzano a combattere, i soggetti contro cui si può combattere o resistere con la forza armata sono coloro che negano la libertà di credo e si adoperano per costringere la gente a cambiare le proprie idee con la forza, spingendoli a fuggire dalla loro patria per tutelare le proprie opinioni e la vita. In altre parole, è chiunque fai in modo di eliminare o introdurre tra gli uomini certe opinioni con la coercizione, senza tentare prima di convincerle: ma nell’Islam non è prevista la costrizione e la fede di chi è costretto non viene accolta, così come non viene accettata la miscredenza di chi è costretto ad abiurare la propria fede.

Come si può notare, questo versetto non chiama in ballo la religione dell’uomo, bensì stabilisce due condizioni: il vero nemico è colui cui si applica una di queste due condizioni, oppure entrambe, a prescindere dalla sua religione, dalla sua origine o dalla sua etnia.

(Naser  Dumairieh, dall’introduzione al testo  Vie islamiche alla nonviolenza di Jawdat Said, Marzabotto, Edizioni Zikkaron, 2017, pag.33-35; 36-37 )

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