giovedì, Aprile 25, 2024

Vendere armi nonostante tutto: la denuncia dell’Opal dopo il Decreto Sicurezza

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

L’Italia fornisce armi a Paesi che non tutelano i diritti umani, comminano ed eseguono ancora oggi pene capitali, violano i trattati internazionali, non collaborano con la giustizia italiana. E poi respinge o nega la protezione internazionale a chi da questi soprusi cerca di fuggire. Il business delle armi è davvero grande e nemmeno il sedicente “governo del cambiamento” sembra intenzionato a segnare un netto cambio di passo per instaurare con gli Stati e i regimi acquirenti relazioni che pongano al centro degli scambi la questione dei diritti.

A partire dal voto di fiducia sul cosiddetto Decreto Sicurezza, fortemente voluto dal vicepremier Matteo Salvini ma votata da tutta la maggioranza compatta, lancia la sua accusa l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal di Brescia), rete di realtà laiche e cattoliche, come il Collegio Missioni Africane, i Missionari Comboniani, la Commissione Giustizia e Pace della Diocesi di Brescia, l’Ufficio Missionario Diocesano della Diocesi di Brescia, Pax Christi e i Missionari Saveriani. «Nonostante il parere negativo del Consiglio Superiore della Magistratura, e tra gli applausi della maggioranza alla Camera, il governo impone come via per gestire i flussi migratori un atteggiamento discriminatorio, di sopraffazione e repressivo, puntando sull’intervento poliziesco in tutte le questioni sociali più difficili. Non è ancora chiaro se verrà tolta la protezione anche ai rifugiati su cui pende o che rischiano di subire una condanna a morte nel proprio Paese d’origine».

«Esportiamo armi in Paesi che fucilano, impiccano, decapitano, avvelenano o sottopongono a folgorazione elettrica i condannati», si legge ancora nel comunicato, «Paesi che dunque infrangono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (1953) e le ripetute moratorie sulle esecuzioni capitali approvate dall’Assemblea dell’Onu, documenti che alcuni di questi Paesi hanno perfino firmato e ratificato».

C’è poi li caso dell’Egitto di Al-Sisi, che esegue ancora pene capitali, soprattutto “per terrorismo”, e che negli ultimi anni ha dato prova di non voler collaborare con le autorità italiane per fare luce sul “caso Regeni”. Nonostante la minaccia del presidente della Camera Roberto Fico di interrompere le relazioni diplomatiche, i rapporti commerciali e militari tra Italia ed Egitto godono di ottima salute e anzi, scrive l’Opal, «il governo italiano ha ripreso a fornire armamento militare e ‘civile’ (vale a dire a polizie e corpi speciali) a ritmo sostenuto»

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