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Perché le obiezioni al fact-checking sulla legge per l’aborto di New York sono infondate

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Continua a far discutere la notizia relativa alla nuova legge sull’aborto dello Stato di New York. Il nostro precedente fact-checking ha ricevuto diverse obiezioni, quindi abbiamo deciso di tornare sulla questione per chiarire alcuni punti

Sta facendo molto discutere il nostro fact-checking dedicato alla nuova legge sull’aborto approvata dallo Stato di New York pochi giorni fa. Nel nostro articolo abbiamo spiegato cosa prescrive il nuovo testo di legge e per quale motivo non sarebbe affatto vero che la legge ratificata dal governatore Andrew Cuomo permette di abortire in ogni caso fino all’ultimo giorno di gravidanza. In risposta al fact-checking, però, sono arrivate numerose contestazioni e segnalazioni e quindi abbiamo deciso di tornare sull’argomento per rispondere a tutti i rilievi avanzati.

Il Reproductive Health Act è intervenuto sulla precedente legislazione andando a modificare principalmente tre principi:

  • ha abrogato il termine della 24esima settimana per quanto concerne il ricorso all’aborto terapeutico e non volontario, in caso di rischi per la vita o per la salute della donna o di assenza di vitalità fetale;

  • ha esteso anche al personale sanitario non medico ma autorizzato la possibilità di effettuare trattamenti abortivi;

  • ha modificato il codice penale andando a depenalizzare il reato di aborto e specificando che il reato di omicidio attiene solo alla soppressione di una persona, che per essere considerata tale deve essere nata e viva, escludendo dunque i feti.

Secondo le contestazioni, questo nuovo impianto legislativo permetterebbe a ogni donna di ricorrere all’aborto fino all’ultimo giorno di gestazione anche in mancanza di evidenti rischi per la vita della donna.

A essere contestata, infatti, è principalmente l’estensione dei termini per il ricorso all’aborto terapeutico oltre la 24esima settimana di gravidanza. Secondo i movimenti pro-life, il ricorso sarebbe permesso non solo in caso di pericolo di vita per la gestante, ma anche solamente per proteggere una generica condizione di salute, consentendo a ogni donna il diritto di abortire un feto sano a gravidanza avanzata con motivazioni di ogni sorta come, per esempio – cito – anche «una lieve depressione».

In realtà le cose non stanno affatto così: l’articolo 1 del Reproductive Health Act prescrive che «un professionista sanitario certificato o autorizzato ai sensi del titolo 8 della legge sull’istruzione, che agisce nell’ambito della propria sfera di attività legale, può eseguire un aborto quando il paziente è entro le ventiquattro settimane dall’inizio della gravidanza, o vi è un’assenza di vitalità fetale, o l’aborto è necessario per proteggere la vita o la salute del paziente».

All’articolo 2 si specifica inoltre che «il presente articolo deve essere interpretato e applicato coerentemente alle leggi e ai regolamenti applicabili e autorizzati che disciplinano le procedure di assistenza sanitaria». Che cosa significa esattamente? In sostanza, il ricorso all’aborto teraputico, e non volontario, è possibile solo quando, secondo il parere del medico basato su fatti concreti e reso in buona fede, la gestante sia in evidente pericolo di vita, la sua salute sia compromessa o il feto non dia più segni di vita.

All’articolo 2, peraltro, si evidenzia che l’atto deve essere applicato in coerenza con le leggi che disciplinano la materia e dunque il Reproductive Health Act va a inserirsi in un quadro normativo più ampio, quello basato sulla sentenza della Corte Suprema Usa del 1973, la Roe v. Wade, che sancì e regolò il diritto costituzionale all’aborto in tutti gli Stati Uniti. In poche parole, il RHA codifica a livello statale l’attuale normativa derivante dalla sentenza del 1973, né più né meno.

Per quale motivo lo Stato di New York, come molti altri Stati Usa, ha proceduto a varare una nuova legislazione locale sull’aborto? Con la nomina alla Corte Suprema di due nuovi giudici conservatori voluti dal presidente Donald Trump il timore è che prima o poi la sentenza del 1973 possa essere “ribaltata” e in un futuro possa non essere più sancito il diritto all’aborto a livello federale. Se ciò dovesse accadere, la legalità dell’aborto sarebbe ancora una volta regolata stato per stato, come succedeva prima della sentenza del 1973, con gli stati che potrebbero scegliere di mantenere lo status quo sotto la Roe v. Wade , oppure vietare completamente l’aborto o imporre restrizioni.

Come spiega Snopes, la Roe v. Wade prevede eccezioni per il ricorso all’aborto dopo le 24 settimane quando la vita o la salute di una donna sono a rischio, ma la precedente legge dello Stato di New York, del 1970, prevedeva eccezioni solo quando la vita di una donna era a rischio.

Il Reproductive Health Act va dunque a modificare la vecchia legge per consentire l’aborto dopo 24 settimane nel caso in cui la vita o la salute di una donna venissero minacciate continuando la gravidanza, rientrando perfettamente nei parametri costituzionali già esistenti. Ai sensi della legge sulla salute riproduttiva, una donna avrà il diritto di abortire in qualsiasi momento, compreso il terzo trimestre, in presenza di assenza di vitalità fetale, ovvero in caso di impossibilità per il feto di sopravvivere fuori dell’utero”, concetto che evidentemente differisce con la versione diffusa dai pro-life.

 

Charlotte Matteini, open.online, 27/01/2019

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