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Francesco Piobbichi: “Disegno i fili spinati cuciti sull’anima dei migranti”

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Francesco Piobbichi è l’operatore di Mediterranean Hope che ha deciso di raccontare la frontiera attraverso i suoi pastelli. É lui l’autore della piuma avvolta da un filo spinato sulla tomba di Segen, il migrante di appena trenta chili morto dopo il suo sbarco a Pozzallo: “Segen è il martire della frontiera”. Ma non chiamatelo artista, lui è un “disegnatore sociale”

C’è una madre aggrappata al corpo di un figlio senza vita in mezzo al mare, naufraghi avvolti da teli termici che nelle notti di Lampedusa sembrano stelle, Gesù Cristo crocifisso nel mare diventato cimitero dell’indifferenza, il corpo di un ragazzo che non arriva a pesare trenta chili e muore il giorno dopo il suo sbarco, un bambino in fuga dalla Libia su un gommone con una flebo al polso. E ci sono le spine. Ovunque le spine. «Disegno i migranti con il filo spinato addosso, perché pur essendo salvati quelle spine se le portano per tutta la vita. La frontiera è spesso per loro una maledizione».

Francesco Piobbichi è un operatore di Mediterranean Hope, il progetto sulle migrazioni della federazione delle chiese evangeliche in Italia. Lui non si definisce un’artista, ma un “disegnatore sociale” che racconta la sofferenza dei migranti, avendola condivisa in prima persona, nella vita prima che nei disegni.

Quelle matite colorate ora adagiate sulla spiaggia di Catania, dove il 10 agosto del 2013 furono ritrovati i corpi di sei migranti, Francesco Piobbichi le ha scoperte una sera a Lampedusa dopo aver appreso di un naufragio: «Ero seduto in un bar e avevo davanti delle matite dell’Ikea, comincio a disegnare la rabbia di quei momenti e a colorare le persone che stavano annegando con un segno vorticoso che rappresenta il dolore, la morte, la speranza. Lampedusa è l’isola che mi ha dato la forza necessaria per raccontare la sofferenza dei migranti».

Lampedusa, il Marocco, il filo spinato del muro tra Ceuta e Melilla, il Libano dove Piobbichi ha lavorato per Mediterranean Hope per la realizzazione dei Corridoi Umanitari, disegnare la frontiera diventa per lui una missione: «La si può raccontare in due modi, parlando alla pancia o al cuore, io cerco di parlare al cuore, perché non è vero che l’Italia è un paese razzista. In uno dei miei disegni qualcuno ha risvegliato Medusa cambiandole aspetto, i suoi capelli sono fatti di filo spinato e il suo sguardo pietrifica le coscienze con la paura, e un popolo con la paura rischia di perdere l’umanità», spiega Piobbichi.

Da Disegni dalla frontiera a Mare Spinato, fino alla raccolta di prossima pubblicazione Sulla dannata terra! Storia dello sciopero di Nardò Francesco Piobbichi si fa testimone del tempo in cui viviamo, muovendosi con un taccuino e disegnando alla pari di un cronista, le storie che il mare ci ha lasciato in eredità.

E allora appare il filo spinato al momento della partenza dalla Libia «che brucia l’anima» con i migranti addossati in una spiaggia che cercano di abbattere un altro filo spinato, quello del viaggio, che li tiene prigionieri e li separa dal mare dove muoiono due volte: «quando l’acqua gli toglie il respiro e quando l’oblio gli toglie la dignità della memoria», scrive Piobbichi nella descrizione che accompagna uno dei suoi disegni. Un mare dove l’umanità tramonta, dove riecheggiano i racconti dei pescatori di Lampedusa che parlano di braccia alzate verso l’orizzonte, dove in ogni barcone ritroviamo Anna Frank. Il filo spinato che cinge la vita dei migranti lo ritroviamo nelle strade dove le donne sono costrette a prostituirsi o nelle schiene dei lavoratori sfruttati per tre euro l’ora e che «bevono il succo dei pomodori o l’acqua usata per irrigare».

Il “disegnatore sociale” partecipa alla quarantaduesima missione della nave Pro Activa della Ong spagnola Open Arms. È l’8 marzo del 2018 quando la nave umanitaria intercetta un piccolo gommone: «Erano tre fratelli, tra di loro c’era Allah, un bambino che aveva la flebo al polso e il carrello della flebo sul gommone. Mi sorride con le gengive che perdono sangue e poi mi fa vedere un foglio da cui capisco che ha la leucemia. Mi diceva che era dispiaciuto per la morte del capitano della Fiorentina Astori. Quel bambino che purtroppo è morto un mese fa al Gaslini aveva sfidato la traversata per poter guarire dalla sua malattia».

Qualche giorno dopo Francesco si ritrova davanti le braccia magre e il volto di Segen, il migrante eritreo che pesava appena trenta chili morto il giorno dopo il suo sbarco a Pozzallo e le cui poesie pubblicate da Vita rappresentano il testamento di migliaia di migranti in fuga dall’inferno libico.

«Segen l’ho adagiato sulla plancia dopo averlo preso dal gommone. Quando l’ho alzato ho pensato che pesasse come mio figlio e ho sentito il peso di un bambino sul corpo di un uomo. Una volta sbarcato, mentre era sorretto da un medico mi ha salutato con un sorriso e ha fatto il segno della vittoria», racconta Francesco che sulla tomba di Segen ha poggiato il disegno della piuma avvolta dal filo spinato, volutamente senza la sua firma.

«Parlo di Segen con estremo rispetto, attraverso il lascito delle sue poesie in qualche modo ha vinto morendo. La piuma della libertà cintata da un filo spinato rappresenta la frontiera di oggi, la guerra che i ricchi fanno ai poveri, dove a morire sono sempre i poveri e i ricchi ci passano sopra. Segen è un Primo Levi del nostro tempo, è un martire e come tutti i martiri deve essere ricordato», conclude Francesco che continua ad affidare al suo tratto vorticoso, scarabocchiato e luminoso il dolore della frontiera eterna dei migranti.

 

Alessandro Puglia, vita.it, 19 aprile 2019

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