giovedì, Marzo 28, 2024

Se Dio è maschio, i maschi si credono Dio (María López Vigil)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

“Gli uomini agiscono come dei. E se Dio è immaginato come un potere arbitrario, che premia e punisce, che decide come vuole, gli
uomini che si credono dei e agiscono come dei, sono autoritari e anche violenti.

In un incontro regionale di donne evangeliche svoltosi a Buenos Aires qualche anno fa, la pastora Judith VanOsdol lo disse con forza: «Le Chiese che immaginano o rappresentano Dio come un uomo devono farsi carico dell’eresia che questa immagine comporta. Perché se Dio è maschio, il maschio è Dio… Dobbiamo ampliare i nostri immaginari per vedere che Dio trascende il genere, non è né maschile né femminile… L’origine della tentazione nel giardino dell’Eden fu il desiderio di essere come dei. Questa tentazione tentatentazione resta viva anche oggi… Quando i maschi si pongono come dei al di sopra delle donne, continuiamo a vivere le conseguenze di questo peccato, lo squilibrio e l’ingiustizia di genere».

E che dire di Gesù di Nazareth, nostro punto di riferimento, nostra ispirazione? Gesù, che non venne a morire ma che ci insegnò a vivere in eguaglianza nel progetto che lo appassionò, il Regno di Dio, concepiva questo regno come una comunità in cui nessuno sta in alto o in basso, dove nessuno ha molto affinché a nessuno manchi alcunché. E ai costruttori di questo regno, tutti, uomini e donne, propose di intendere il potere come servizio e di agire sempre con cura, con compassione e senza violenza, atteggiamenti che la cultura attribuisce solo alle donne. Quando Gesù, figlio di una cultura patriarcale come quella del suo tempo e della sua religione, parlò di Dio, lo chiamò – non poteva essere altrimenti – “padre”. Però qualcosa doveva aver intuito se ci presentò Dio in una versione maschile – come un pastore che cerca tenacemente una pecorella smarrita o come un padre che offre un banchetto – ma anche in versione femminile, paragonandolo a una donna che cerca disperatamente una monetina perduta o a una casalinga che impasta la farina per fare il pane.

Riflettendo sulla violenza contro le donne, credo che l’abuso sessuale, una delle più comuni espressioni di questa violenza, possa anche essere visto a partire dal potere maschile divinizzato nella religione tradizionale.

L’abuso sessuale, che sia uno stupro per strada o un’insidiosa violenza domestica, non è conseguenza di una debolezza morale né di un istinto irrefrenabile dei maschi né è solo peccato di lussuria. È la suprema espressione di un abuso di potere, in questo caso con l’arma del fallo, zona del corpo sacralizzata nell’ebraismo – con la circoncisione del pene si sigillava l’alleanza con Dio –, la religione di Gesù, dalla quale nacque il cristianesimo.

E mentre con questo rito antico si consacra nell’organo maschile l’alleanza con il Dio Maschio, la sessualità della donna e il suo corpo sono tradizionalmente associati nella Bibbia alla tentazione e al peccato. E le mestruazioni all’impuro. Tutte queste associazioni che circolano nel patrimonio culturale dell’Umanità hanno radici religiose e legittimano la discriminazione, l’ingiustizia, la violenza e l’abuso sessuale.

A proposito di “una teologia della donna”

Espressione quotidiana del Dio Maschio è il fatto che i rappresentanti di Dio siano maschi. Lo sono totalmente nel cattolicesimo e tra gli ortodossi, e lo sono maggioritariamente in altre denominazioni cristiane, protestanti ed evangeliche. La Chiesa cattolica ha negato in molte occasioni, e con documenti inappellabili, la possibilità del sacerdozio femminile e persino del diaconato delle donne, argomentando che Gesù scelse solo uomini e che Gesù era un uomo, dato “non irrilevante” per la teologia, secondo quanto affermato da papa Benedetto XVI qualche anno fa.

Come superare questa “rilevanza” del maschile associata al divino? Non è facile. Anche se, per tanti aspetti, papa Francesco ha aperto molte finestre e alcune porte, non è avanzato molto su questo versante. E ha detto che è necessario elaborare “una teologia della donna”. Ma “la donna” non esiste. Esistono le donne, che sono, come gli uomini, diverse, distinte, non tutte madri, presenti ormai in tutti i campi del sapere umano, plurali nelle loro aspirazioni… E inoltre ci sono molte donne che hanno già prodotto questa teologia che sarebbe ancora da elaborare…

No, non bisogna “elaborare una teologia della donna”. Credo che ciò che bisogna fare è ascoltare quello che le donne dicono della teologia tradizionale. Ascoltiamo (…) Ivone Gebara: «Alcuni movimenti storici come quello delle donne investono il cuore stesso delle istituzioni cristiane. Il cristianesimo non è più lo stesso quando le immagini maschili di Dio sono sospettate di sessismo. Il cristianesimo non è più lo stesso quando le donne, per disagio, rifiutano la loro appartenenza alla Chiesa. Il cristianesimo non è più lo stesso con le ermeneutiche femministe della Bibbia e le prospettive teologiche femministe. Il cristianesimo non è più lo stesso a partire dalla ricerca da parte delle donne della loro libertà, espressa oggi in tutto il mondo in tanti modi diversi».

A volte l’abisso tra cristianesimo delle Chiese cristiane e movimento di Gesù di Nazareth mi sembra così profondo che mi scopro d’accordo con quanto disse il teologo tedesco (un uomo!) Eugen Drewerman: «Come Geremia pregava per la caduta di Gerusalemme, dobbiamo pregare per la caduta dell’istituzione ecclesiastica in modo che Dio possa cominciare quanto prima a scrivere nel cuore degli esseri umani ciò che davvero vuole dire loro».

Così come mi viene in mente ciò che disse un altro teologo, Paul Tillich: «Gesù resusciterà dalla tomba di questa Chiesa».

Spero che, come migliaia di anni fa, quando arriverà questo tempo nuovo, che aspettiamo e desideriamo, saremo noi donne ad annunciare: è risorto! (…)”.

(Tratto da un articolo di María López Vigil, Adista Documenti n° 10 del 12/03/2016)
María López Vigil è giornalista e scrittrice cubano-nicaraguense. Autrice, insieme a suo fratello José Ignacio López Vigil, del celebre radio-romanzo “Un tal Jesús”. Tra i suoi libri più noti, la biografia di Romero, “Monseñor Romero, piezas para un retrato” (pubblicato in Italia con il titolo: “Monsignor Romero. Frammenti per un ritratto”, 2005).

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