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Esecuzioni in calo del 31%. Il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

39791 ROMA-ADISTA. Il Rapporto globale sulla pena di morte nel mondo diffuso ad aprile da Amnesty International contiene una buona notizia: nel mondo, sono diminuite di un terzo le esecuzioni capitali. In cifre assolute, le condanne a morte sono state 690 nel 2018, il 31% in meno rispetto alle 993 dell’anno precedente. Si tratta del dato più basso in almeno un decennio. I numeri del rapporto 2018 mostrano che la pena di morte è stabilmente in declino e che in varie parti del mondo vengono prese iniziative per sospendere o abolire la pena capitale. Tra essi, il Burkina Faso, che a giugno 2018 ha abolito dal codice penale la pena di morte; oppure il Gambia e Malaysia, che a febbraio e luglio 2018 hanno invece annunciato una moratoria ufficiale sulle esecuzioni. Negli Usa, a ottobre 2018, la legge sulla pena di morte dello stato di Washington è stata dichiarata incostituzionale. Ancora, il Rapporto segnala anche che a dicembre 2018, nel corso dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, 121 Stati (un numero senza precedenti) hanno votato a favore di una moratoria globale sulla pena di morte, cui si sono opposti “solo” 35 Stati. Inoltre, anche nei Paesi che mantengono la pena capitale le esecuzioni hanno conosciuto una sostanziale diminuzione. Piuttosto significativo il dato dell’Iran, dove, a seguito della modifica alla legislazione contro la droga, le esecuzioni sono diminuite in un solo anno della metà, passando da circa 507 nel 2017 ad almeno 253 nel 2018. In Pakistan le esecuzioni sono diminuite dalle almeno 60 del 2017 alle almeno 14 del 2018. La Somalia ha dimezzato le esecuzioni, passando dalle 24 del 2017 alle 13 del 2018.

Restano però delle zone d’ombra, legate soprattutto alla Cina, dove il numero delle esecuzioni continua a essere un segreto di Stato (così come in Bielorussia e Vietnam) e quindi, tra esecuzioni comminate ed eseguite, i numeri potrebbero crescere nell’ordine di migliaia. Ci sono poi i casi di Paesi in cui le esecuzioni sono addirittura aumentate, in controtendenza con il trend mondiale. Tra essi Bielorussia (ma per questo Paese non ci sono dati ufficiali), Giappone, Singapore, Sud Sudan e Usa. Ci sono poi Paesi dove le condanne capitali erano state sospese e nel 2018 sono invece riprese: si tratta del Botswana, del Sudan, di Taiwan e della Thailandia, che ha eseguito la prima condanna a morte dal 2009; il presidente dello Sri Lanka ha invece annunciato la ripresa delle esecuzioni dopo oltre 40 anni, pubblicando un bando per l’assunzione dei boia.

Con una decisione senza precedenti, le autorità del Vietnam hanno reso noti i dati sulla pena di morte, prima mai ufficialmente dichiarati: nel 2018 le esecuzioni sono state 85. Nella classifica delle esecuzioni capitali del 2018 dopo la Cina (il cui numero di esecuzioni resta imprecisato), ci sono l’Iran (almeno 253), l’Arabia Saudita (149), il Vietnam (85) e l’Iraq (almeno 52).

Complessivamente, alla fine del 2018, 142 Stati hanno abolito la pena di morte per legge o nella prassi. Di questi, 106 sono abolizionisti totali.

«Lentamente ma stabilmente – sono le parole di Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International – assistiamo alla crescita di un consenso globale verso la fine dell’uso della pena di morte. La campagna mondiale di Amnesty International per fermare le esecuzioni va avanti da oltre 40 anni, ma con più di 19 mila detenuti nei bracci della morte la battaglia è lungi dall’essere finita».

 

Adista Notizie n° 16 del 27/04/2019

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