martedì, Aprile 23, 2024

“Il Gesù lanciafiamme” commento a Lc 12, 49-53 (don Franco Barbero)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Luca 12, 49-53

49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 

Il linguaggio profetico

Questi pochi versetti del Vangelo di Luca non possono essere letti come uno dei semplici insegnamenti di Gesù.  Si tratta pittosto di un condensato del suo pensiero e della sua passione profetica. Egli infatti dichiara di essere venuto a “gettare- spargere- lanciare” fuoco sulla terra e di desiderare ardentemente che questo fuoco divampi.

Questo Gesù “lanciafiamme” va compreso dentro la sua storia di credente nel Dio della liberazione e di profeta dei poveri. Dentro il suo cuore era stato il Battista, il maestro della sua giovinezza, a deporre, a comunicare, ad accendere il fuoco, la passione per Dio e il Suo regno.

L’oppressione crescente dei più deboli sotto la dominazione romana, l’emarginazione del cieco, dello storpio , delle donne, del lebbroso erano sotto gli occhi di Gesù ogni giorno. Cresceva in lui l’indignazione, la rabbia, il senso di impotenza. Il “fuoco profetico” che l’incontro del Battista e l’assidua lettura dei testi profetici alla sinagoga avevano acceso, ora era diventato incontenibile.. In qualche modo questo fuoco straripava dal suo cuore. Egli non poteva tacere questa sua esperienza, questo dolore, questa passione. Sentiva che era suo compito spargere questo messaggio e suscitare questo fuoco, contagiando altre persone….

Il fuoco dell’amore

Solo chi ha il fuoco dell’amore appassionato, lo può comunicare. Sente il dovere di diffondere questa fiamma come parte essenziale della sua fede in Dio.

Se posso fare riferimento alla mia esperienza personale, negli anni di studio a vari livelli, ho incontrato insegnanti diversi: alcuni lasciarono in me il ricordo di buoni professori, altri mi trasmisero, oltre le loro conoscenze,soprattutto la loro passione per il Vangelo: sono stati per me non solo rispettabili docenti di discipline, ma “i padri della mia fede”. Questi ultimi sono stati determinanti per la mia ricerca teologica e ancor più per la mia scelta di vita.

Mi viene alla mente un versetto del tipico linguaggio paolino, 1 Corinti 4-15: “ Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri; io invece vi ho generato mediante il Vangelo…”.

Chi accende e chi spegne

La tradizione cristiana ci trasmette nel Vangelo apocrifo di Tommaso un’altra traccia del desiderio ardente di Gesù: “Chi è vicino a me è vicino al fuoco; chi è lontano da me è lontano dal regno”.

L’impazienza apocalittica di Gesù e la sua voglia di vedere che il fuoco che gli brucia dentro possa espandersi, dilagare e diventare incendio d’amore, di giustizia e di solidarietà, hanno attraversato tutta la sua vita.

La sua fedeltà a Dio congiunse la “pazienza e l’impazienza”dei profeti, ma il Vangelo qua e là lascia trasparire la sofferenza di Gesù per chi non sa decidersi, per chi resta indifferente, per chi pensa solo a sé.

Tutto l’insegnamento delle parabole è un invito a scegliere,ad accendere il fuoco della passione per la giustizia…

La sequela di Gesù profeta di Dio.

Noi cristiani dovremmo essere gli eredi di questo “desiderio “ di Gesù, i portatori e diffusori di questo incendio. Purtroppo, guardando la storia, dobbiamo riconoscere che le chiese cristiane nel loro insieme troppe volte hanno soffocato la fiamma della libertà, hanno gettato acqua gelida su chi si avventurava nei sentieri impervi della ricerca, del dissenso dal potere, della contestazione in nome del Vangelo. Sappiamo bene che sul cammino verso i diritti umani le chiese istituzionali quasi sempre hanno messo i bastoni tra le ruote.

Ma c’è di peggio: è quella chiesa che vive gingillandosi nelle sue devozioni, goduriosa del suo possesso della verità, sazia di sé, sicura della salvezza. E’ la chiesa che dorme sonni di “beata”inconsapevolezza anche in un mare in tempesta.

Il fuoco davvero si è spento. Anzi, molti pastori sono diventati custodi zelanti di comunità assonnate e solerti pompieri, sempre pronti a correre per spegnere eventuali fuochi di nuove esperienze pastorali, di ricerche teologiche che mettano in crisi la tranquillità istituzionale.

Penso al modo in cui 60 anni fa si fece ogni sforzo per soffocare la profezia del Catechismo Olandese e se ne diffuse una edizione annacquata e “corretta” secondo il parere vaticano.

Il clima diffuso

Va riconosciuto. Viviamo una “stagione crudele” in cui l’oppressione e la disperazione rischiano di alimentare o la rassegnazione o veri e propri incendi di violenza. Più che dal fuoco dell’amore, l’orizzonte è popolato dai fuochi delle armi. Se pensiamo a chi regge i governi negli USA, in Israele, in Italia, in Brasile…e tanti altri Paesi, ci troviamo a fare i conti con autentici diffusori del fuoco dell’odio.

Per altri, che vivono nell’agiatezza, concentrati sul loro personale benessere, ardono solo i crepitii del caminetto delle loro personali soddisfazioni. Paghi delle voglie, siccome “non fanno male a nessuno”, si ritengono cittadini e cristiani onesti. Questo benesserismo è la via più subdola per spegnere la fiamma dell’amore.

La nostra società dei consumi e delle distrazioni permanenti ha creato un meccanismo che funge da pompiere….Occorre esserne consapevoli.

La responsabilità personale

Le responsabilità istituzionali delle chiese sono evidenti e grandi come montagne.

Ma nella mia vita l’ultima, decisiva lettura del Vangelo è quella che interpella proprio me, che punta al mio cuore. Non c’è scampo.

Le parole di Gesù devono diventare per me un invito impellente, esplicito, diretto: che cosa faccio io della fiamma della fede? La tengo viva? La rendo operante con una esistenza quotidiana che, pur nella fragilità, è ricerca continua e concreta di tenere acceso il fuoco della fede? Sento che siamo gli uni per le altre i custodi e gli alimentatori della fiamma ?

Ti prego

Donaci tanti uomini e tante donne che siano per noi fratelli e sorelle, ma anche padri e madri della nostra fede.

Donaci, soprattutto, di vedere e sostenere ogni fiamma di giustizia e di solidarietà che incontriamo nelle vie del mondo, nelle persone e nei luoghi e momenti più inaspettati.

Fa che non diventiamo mai cittadini e cristiani spettatori e indifferenti.

 

don Franco Barbero

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