giovedì, Marzo 28, 2024

Una profezia lunga mezzo secolo. Marcelo Barros compie 50 anni di ministero presbiterale

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1).

Cari fratelli e sorelle, in questi 50 anni il mio ministero presbiterale si è svolto all’interno della Chiesa. La Chiesa nella quale sono stato ordinato nel 1969 viveva il tempo immediatamente successivo al Vaticano II e, qui in America Latina, alla Conferenza di Medellín, da cui era passato appena un anno. Era una Chiesa che, tanto dal punto di vista interno della sua organizzazione quanto nel suo modo di vivere la missione, affrontava conflitti e difficoltà ma che a me sembra fosse più aperta e più leggera di oggi, anche rispetto a questi tempi di papa Francesco.

Ma, in tal senso, il clima nella Chiesa non è purtroppo diverso dal clima nel mondo. Malgrado tutte le dittature militari che si registravano in America Latina e la guerra fredda che dominava il pianeta alla fine degli anni Sessanta, il mondo di quell’epoca, guardandolo oggi, sembrava comunque migliore dell’attuale, pur senza negare tanti aspetti positivi del presente, come il progresso delle scienze e un aumento della coscienza sociale su molte questioni, come il razzismo, l’uguaglianza di genere e la giustizia sociale ed ecologica. Ma, nonostante questo, la violenza strutturale della società, le disuguaglianze sociali e il potere dominante appaiono più duri di prima e sembra più difficile superarli.

Una caratteristica del mio ministero in questi 50 anni è data dal fatto di averlo esercitato sempre in mezzo al vortice del mondo. In generale i monaci che sono anche preti esercitano il ministero celebrando messa per aiutare i parroci e in caso prendendosi carico di qualche parrocchia. Io già prima di essere ordinato prete sono stato chiamato a promuovere il coordinamento della pastorale dei giovani delle scuole secondarie a Recife dopo l’omicidio di padre Antônio Henrique (sequestrato nel maggio del 1969 e torturato e ucciso da un gruppo del “Comando de Caça aos Comunistas” e da agenti della polizia civile del Pernambuco, ndr). Padre Henrique è stato ucciso alla fine di maggio mentre io sono stato ordinato in ottobre. E anche nella mia missione ecumenica ho dovuto fin dall’inizio inserirmi in attività politiche come visitare prigionieri politici, costituire una équipe ecucipi menica che potesse contare sul sostegno di avvocati, ecc… E pochi anni dopo essere stato ordinato, sono entrato nella Commissione pastorale della terra che stava nascendo allora ed era l’epicentro di una violenza molto forte in relazione ai conflitti nei campi, cosicché ho vissuto il triste e pesante destino di essere compagno di diversi martiri, come padre Josimo Tavares e padre Ezequiel Ramin, e anche di tenere corsi biblici di cui faceva parte suor Dorothy Stang.

Molte persone hanno fatto parte del mio ministero. Compagni e compagne del Cebi (Centro di studi biblici, ndt), della Cpt, della Rede Celebra (Rete di animazione liturgica, ndt) e di altri organismi ecumenici a cui partecipo. Chiedo il permesso ai vivi di citare come rappresentante di tutti loro l’amato dom Pedro Casaldáliga, ancora in vita, e, tra coloro che non sono più qui con noi, dom Tomás Balduíno e dom José Maria Pires, con i quali ho convissuto e ho imparato a vivere la testimonianza del regno di Dio come sovversione sociale e politica in questa società di ingiustizie. Allo stesso modo, tra le suore e le amiche ancora in vita cito Ivone Gebara e suor Escobar e, tra quelle che ci sono venute a mancare, suor Agostinha Vieira De Mello e suor Maria Letícia. E, è chiaro, i miei genitori. Ringrazio Dio per il fatto che i miei genitori e i miei fratelli mi hanno rivelato la dignità della povertà. Con loro ho imparato a vivere da povero. Ora, a 75 anni, non ho una casa, non ho una macchina, né ho soldi messi da parte. Tutto quello che ho di materiale è un portatile e un cellulare, entrambi regalati.

Guardando indietro, mi ritrovo con molti dei difetti non ancora superati, con infedeltà e peccati. Ma al di sopra di tutto con la grazia di Dio che mi accompagna sempre. Fin dall’inizio, egli ha guidato il mio ministero di presbitero in due direzioni principali:

1 – il dialogo con le altre Chiese e le altre religioni, in particolare le religioni originarie dai nostri popoli, un dialogo al servizio della vita e dell’unità e liberazione di tutta l’umanità;

2 – l’impegno a portare avanti tutto questo a partire dai più poveri ed esclusi della società, nei quali contemplo in modo speciale il volto di Dio nella mia vita.

Finora Dio mi ha dato la grazia di vivere tutto questo attraverso una presenza di amicizia, un accompagnamento come consigliere del Movimento dei Senza Terra e di alcuni movimenti sociali e il ministero della scrittura, il quale potrebbe sembrare una forma di dipendenza, ma ha come giustificazione il fatto che è il mio modo di relazionarmi e di comunicare con le persone e i gruppi.

Nella messa della mia ordinazione presbiterale, dom Hélder Câmara, nella sua omelia, ha proposto a me e al fratello Beda Holanda, ordinati insieme, di essere presbiteri impegnati a risvegliare in tutte le persone l’esercizio concreto e profondo del sacerdozio battesimale che tutti hanno ricevuto. Per questo mi sono sempre rifiutato di definirmi “sacerdote”. Sono presbitero per aiutare tutti i fratelli e le sorelle attraverso il battesimo a essere sacerdoti dell’amore divino nel mondo.

Nel corso di questi 50 anni, una frase del Vangelo che mi ha interpellato sempre è quella di Giovanni Battista: «Colui che ha la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra vivamente alla voce dello sposo; questa gioia, che è la mia, è ora completa. Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca».

Tuttavia, in questi ultimi anni, mi ha molto coinvolto il passaggio del Vangelo di Giovanni che, nel contesto dell’istituzione della cena, racconta la lavanda dei piedi. Si parla sempre della lavanda dei piedi come servizio, il servizio dello schiavo più umile… Ma nella Bibbia questo gesto non appare mai. Non faceva parte della cultura della società di Gesù, al punto che Pietro lo confonde con il gesto delle abluzioni… Solo nel Vangelo di Luca appare la donna peccatrice che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime e li asciuga con i suoi capelli. Mentre il quarto Vangelo racconta che Maria, sorella di Lazzaro, unge i piedi di Gesù con preziosissimo profumo di nardo e li asciuga con i suoi capelli. Comportamenti che Gesù interpreta come espressione dell’amore più grande in Luca e come profezia della resurrezione in Giovanni. La lavanda dei piedi che Gesù compie è anch’essa un’espressione dell’amore più grande.

Il racconto inizia con queste parole: «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine», cioè li amò fin dove l’amore può arrivare. Tutto il discorso di Gesù dopo la cena ha al centro questo comandamento nuovo dell’amore. E questo nel momento in cui capisce che Giuda sarebbe uscito per tradirlo, che Pietro lo avrebbe rinnegato e che tutti i discepoli lo avrebbero lasciato solo. Che soltanto le donne lo avrebbero seguito fino alla croce. Eppure egli compie questo gesto. In questi giorni, al Sinodo sull’Amazzonia a Roma, si è parlato molto di una Chiesa con il grembiule… Una Chiesa che assuma proprio il grembiule del servizio. In questo senso il rinnovamento del Patto delle catacombe (v.qui) da parte di oltre 200 vescovi, oltre a missionari e missionarie, aggiorna la lavanda dei piedi come servizio d’amore e come predilezione per i popoli indigeni, i contadini, i quilombolas e tutti gli esclusi e le escluse del mondo.

Poiché questo documento è aperto, oggi sto lanciando qui la proposta di un Patto delle frontiere. Un impegno che, in nome di dom Hélder, il nostro patrono nella Chiesa di Olinda e Recife, sia una testimonianza di amore e di predilezione per i piccoli del mondo e per la protezione della vita sul pianeta. Leggendo una sintesi di questo documento, ci rendiamo conto che questo riassunto dovrà essere completato e rielaborato da noi, in un processo che avrà come data simbolica di inizio la celebrazione che faremo qui il 16 novembre ma che ci seguirà fino al congresso Eucaristico che si celebrerà a Recife e si concluderà proprio alla vigilia del 16 novembre 2020.

 

Marcelo Barros, Adista Documenti n° 39 del 16/11/2019

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