mercoledì, Aprile 24, 2024

Addio a Sepulveda, il guerriero della letteratura (Francesco Comina)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

La morte dello scrittore. Aveva solo 70 anni, a portarselo via è stato il Coronavirus  A Bolzano nel 2008 e nel 2010 per tre memorabili incontri pubblici.L’incontro con Franz Thaler  Sempre in prima linea a fianco degli ultimi e nella lotta contro il sistema capitalista

 

Bolzano. Luis Sepulveda sembrava invincibile. Aveva la stazza del guerriero oramai stanco ma sempre pronto a combattere per le idee di giustizia e per i diritti dei più deboli. Aveva gli occhi dolci e severi, occhi che sapevano penetrare gli sguardi e scovare al volo gli ipocriti, i doppiogiochisti, i cinici, i prepotenti, i meschini e gli scribi di tutti i poteri sacri e profani. Aveva quel viso un po’ mapuche, che irradiava orgoglio e fierezza. Aveva le mani possenti come quelle degli indios Shuar nella foresta ecuadoriana con i quali visse negli anni Settanta come il suo Bolivàr, il Vecchio che leggeva romanzi d’amore. Aveva la storia sotto la pelle: una storia di lotte, di amori, di sogni, di fughe disperate, di rivoluzioni tentate e di rivoluzioni abortite, di resistenze sofferte e di amicizie perdute o ritrovate. Ma anche di arresti, torture, condanne ed esili. E tanta libertà.

Luis Sepulveda sembrava invincibile. Nemmeno il tiranno più spietato, nel Cile della mattanza, era riuscito a piegarlo. E ora che i turbini della storia furibonda si erano come ritirati in un’armonia ritrovata nella casa di Gijón. nelle Asturie, dove viveva dal 1998 insieme alla moglie poetessa Carmen Yanez (la donna della sua vita, sposata in Cile, persa poi di vista e risposata nel 2004 dopo il divorzio con la moglie tedesca) ecco che il maledetto virus senza volto e senza corpo – ma con una corona disseminata di spire velenose – lo ha stroncato a poco a poco dopo un mese e mezzo di lotta disperata nell’ospedale di Oviedo. Venne ricoverato con la moglie alla fine di febbraio al rientro da un viaggio in Portogallo. Subito le sue condizioni sono sembrate molto critiche ma col tempo pareva migliorasse. Carmen ci teneva aggiornati sulla sua bacheca di Facebook. Lei nel frattempo si era ripresa ed era uscita dall’ospedale. Sembrava che Luis cominciasse a respirare meglio da un polmone e che anche questa volta stesse per arrivare il giorno più atteso: la vittoria sul Covid-19. Invece ieri è arrivata, come una doccia gelata, la notizia della morte del grande scrittore che ha fatto commuovere il mondo con i suoi libri più famosi: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Diario di un killer sentimentale, Incontro d’amore in un paese in guerra, Patagonia express, Le rose di Atacama, Storia del gatto e del topo che diventò suo amico e molti altri.

Sepulveda aveva il dono dell’immediatezza. I suoi racconti erano talmente veri da essere fantastici. E la sua fantasia era talmente immaginativa da essere reale. In questo senso Luis rimane invincibile. Perché c’era la vita dentro i suoi racconti, c’erano le esperienze fatte negli anni del tormento e del rischio. C’erano i sogni giovanili nel Cile delle prime scoperte letterarie alla Biblioteca nazionale di Santiago (Borges, Neruda, Machado, Garcia Lorca, Coloane, Yankas, Juan Godoy, Marcos Ana, il poeta-eroe della resistenza antifranchista in Spagna, che fu ospite a Bolzano qualche anno prima di morire). C’erano i primi esprimenti di letteratura erotica nei racconti della professoressa di storia che portava la prima minigonna della città. C’erano i primi sogni rivoluzionari: «Credo che non ci sia sogno più bello – racconta nel primo capitolo de Il potere dei sogni – di un mondo dove il pilastro fondamentale dell’esistenza è la fratellanza, dove i rapporti umani sono basati sulla solidarietà, un mondo in cui siamo tutti d’accordo sulla necessità della giustizia sociale e ci comportiamo di conseguenza». C’erano gli anni felici della militanza socialista con il governo di Salvador Allende: «Insieme a Salvador Allende – scrive ancora Sepulveda – fummo protagonisti dei mille giorni più belli, intensi della storia cilena. Su di noi lasciarono cadere tutto l’orrore, ma non riuscirono mai a cancellare dai nostri cuori il Memoriale degli anni più Felici». Ma dopo l’11 settembre del 1973 con il golpe di Pinochet iniziarono gli anni drammatici delle repressioni, delle uccisioni, degli arresti, delle torture, delle sparizioni e degli esili. E Sepulveda passò in mezzo a tutto questo dolore perdendo amori, amicizie, affetti e subendo atroci sofferenze. Nel 1977 fuggì dall’orrore di un regime che aveva ricoperto il Cile di uno strato di cemento armato dove non c’era più musica, teatro, danza, dove perfino i colori si erano condensati in un grigio unicromatico. La nueva canciòn chilena smorzò la musica. Victor Jara fu uno dei primi ad essere ucciso. Gli Inti Illimani presero la strada dell’esilio, i Quilapayun idem. Nemmeno i Beatles avevano più diritto di cittadinanza musicale perché se anche l’avessero avuta non aveva alcun senso cantare Michelle, ma belle, come lo stesso Sepulveda ricorda di aver cantato innumerevoli volte quando una ragazza minuta sfilava nei cortei della Juventud socialista. La ragazza si chiamava Michelle Bachelet e fu orribilmente torturata. Nel 2006 la Bachelet fu la presidente del Cile.

C’erano poi gli anni della fuga, le peregrinazioni in America Latina, fra il Brasile, il Paraguay, il Nicaragua e l’Ecuador dove Sepulveda imparò a interpretare il mondo con gli occhi degli indios. Di qui poi l’approdo in Europa, ad Amburgo e le battaglie ecologiste, nelle spedizioni di Greenpeace, che troviamo raccontate nel libro Il mondo alla fine del mondo.

Nel 1996 Sepulveda decise di vivere, insieme a Carmen Yanez, nelle Asturie dove ogni anno organizzava un festival di letteratura ibero-americana (invitò nel 2008 anche una delegazione di amici di Bolzano che andò con il giornalista Arturo Zilli).

Incontrai Sepulveda per la prima volta agli inizi del Duemila ma il momento più intenso fu nel marzo del 2008 quando lo invitai a Bolzano per un omaggio alla sua vita e alla sua opera. Furono tre giorni intensi con due incontri pubblici, uno in Comune e uno affollatissimo all’università, l’allestimento di una mostra di fotografie sulla sua vita scattate dall’amico Daniel Mordzinski, un concerto di Cisco in suo omaggio e alla poesie di Carmen nel teatro del Rainerum. Ma il momento più commovente fu l’incontro a Sarentino nella casa di Franz Thaler, l’artigiano di San Martino che fu deportato a Dachau. Carmen pianse ascoltando il racconto di Franz e pensando alle repressioni in Cile e alle torture che lei subì a Villa Grimaldi (noto centro di tortura di Santiago). Quando Luis entrò nella bottega di Thaler un gatto gli saltò subito sulla spalla. Immortalammo quella foto che sembrava studiata apposta come fosse un omaggio all’autore de La gabbianella e il gatto. Quando scendemmo con la macchina da Sarentino Sepulveda promise che avrebbe scritto qualcosa su Thaler e due anni dopo uscì il suo Ritratto di gruppo con assenza dove ricordò l’incontro con «l’eroe tirolese novantenne antifascista ieri, oggi e domani, che si guadagna la vita incidendo splendide miniature sul metallo». Sepulveda tornò a Bolzano nel 2010 per una nuova conferenza all’università e in quell’occasione lo accompagnai anche a Trento dove lo attendevano mille persone per un incontro in dialogo con lo scrittore Bruno Arpaia al teatro Santa Chiara nell’ambito di un ciclo dal titolo: “Se vuoi la pace prepara la pace”: «Oggi si sta imponendo una vera e propria cultura della rassegnazione – disse in quell’occasione – che conduce alla paura. Siamo portati a pensare che il nostro posto di lavoro, e quindi la nostra tranquillità economica se non addirittura la nostra stessa vita, siano in pericolo. Ma oggi serve coraggio e intraprendenza per dire no all’ingiustizia, no ai soprusi, no alla demagogia. Perché o la vita è solidale o non è vita».

Ci siamo incontrati altre volte in giro per l’Italia. Al festival della letteratura di Mantova nel 2009 abbiamo passato una bella serata passeggiando lungo i vicoli della città e l’ultima volta fu a ottobre del 2017 a Pordenone per il festival “Pordenonelegge”. C’era anche Carmen con cui parlai a lungo. Ci eravamo promessi di vederci ancora a Bolzano. Ora siamo soltanto noi a poter rendere invincibile Sepulveda. Noi e il nostro umano ricordo per questo straordinario scrittore che ha saputo raccontare le passioni del mondo. Possiamo fare come faceva lui con gli amici e darci appuntamento in un ristorante della città con i suoi libri in mano. E raccontarci le storie. Così faceva lui con gli amici cileni quando si incontrava a Off Record, l’ultimo ristorante bohémien di Santiago. Ricordavano quelli che non c’erano più come il Selvaggio: «”Hugo, il Selvaggio era fatto così” dice qualcuno. “No, il Selvaggio è fatto così, perché se li nominiamo e raccontiamo le loro storie, i nostri morti non muoiono” replica un altro».

Sepulveda resta invincibile perché vive dentro di noi.

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