venerdì, Aprile 19, 2024

Il Gesù ebreo… da non dimenticare! (J.P. Meier)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

“Questa prima distinzione fra ricerca sul Gesù storico e cristologia conduce naturalmente a una seconda importante distinzione – in effetti, la include. È la distinzione fra la nostra conoscenza su un ebreo palestinese del I secolo chiamato Yeshua di Nazareth e la nostra conoscenza di fede su Gesù Cristo che i cristiani annunciano come loro Signore crocifisso e risorto.

A dire il vero, i cristiani credenti sostengono che queste due figure sono una sola e medesima persona in stadi differenti della sua esistenza o autorivelazione. Ma gli storici accademici, prescindendo necessariamente, in virtù del proprio metodo, dalla fede, devono sostenere che l’oggetto preciso della propria indagine, il Gesù storico, fu sempre, esclusivamente e interamente un ebreo del I secolo – senza vesti pontificali cristiane nascoste sotto il mantello giudaico, senza gloria della risurrezione riflessa retrospettivamente sui luoghi oscuri del ministero pubblico e della croce.

Tutto ciò che uno storico, proprio in quanto storico, è in grado gli conoscere è un particolare maschio ebreo circonciso proveniente dalla Galilea che, nei primi decenni del I secolo d.C., mentre compiva il suo ministero profetico, saliva regolarmente a Gerusalemme per osservare nel tempio le principali feste giudaiche – e anche alcune minori.

Che tipo di ebreo fosse, dove si collocasse nella variegata mappa del giudaismo del I secolo, quanto possa essersi differenziato da quello che si potrebbe chiamare vagamente la ‘corrente principale’ del giudaismo, sono tutte questioni su cui dibattere. Ma se c’è un lascito duraturo della cosiddetta terza ricerca, è la tesi che ci hanno fatto ben comprendere studiosi come Geza Vermes ed E. P. Sanders: Gesù fu anzitutto e soltanto un ebreo.

Questa distinzione conduce, a sua volta, a una terza e più specifica distinzione (…). Questa terza distinzione è quella fra teologia morale ed etica cristiana da un lato e insegnamento di Gesù sulla Legge giudaica dall’altro. In nessun altro ambito della ricerca la ‘cristianizzazione’ del Gesù storico è forse così sottile e, allo stesso tempo, così pervasiva.

Si tratti della questione del divorzio o di quella del sabato, delle regole di purità o della formulazione di un giuramento, l’intento inespresso della maggior parte degli articoli e dei libri su ‘Gesù e la Legge’ è quello di presentare l’insegnamento di Gesù sulla Legge e l’etica come se affrontasse, in definitiva, delle preoccupazioni cristiane o, perlomeno, come se fosse riconducibile a un punto di vista cristiano.

Come le ricerche sul Gesù storico sono state in massima parte cristologia dissimulata sotto vesti storiche, così pure le trattazioni su Gesù e la Legge sono in massima parte semplicemente lavori sulla moralità e l’etica cristiana che indossano uno zucchetto.

Si potrebbe anzi sostenere che la ‘cristianizzazione’ del Gesù storico raggiunga il suo culmine proprio nella questione di Gesù e la Legge, dove l’ebraico Gesù si trasforma regolarmente nel cristiano Paolo, Agostino, Lutero o Barth per non dire di quegli anonimi teologi cristiani della Legge che chiamiamo Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

Il pericolo di cristianizzare il Gesù storico si trasforma qui nel pericolo di essere rilevanti per i cristiani senza la necessaria riflessione ermeneutica.

Il modo migliore per trattare la sindrome dell’occhio vitreo e per arrestare ogni cristianizzazione del Gesù storico in materia di morale non è, a mio parere, quello di addolcire il messaggio. Bisogna invece insistere, in una lotta senza quartiere, sulla necessità di comprendere questo ebreo del I secolo come uno che si rivolgeva ai suoi correligionari ebrei palestinesi rigorosamente all’interno dei confini dei dibattiti legali giudaici, senza preoccuparsi minimamente se qualcuno di questi argomenti giuridici potesse avere un qualche interesse per i cristiani.

In altri termini, per comprendere il Gesù storico esattamente come una figura storica, dobbiamo collocarlo saldamente nel contesto della Legge giudaica così come era discussa e praticata nella Palestina del I secolo.

Come il lettore di questo libro potrà notare, da questo vaglio critico del materiale legale contenuto nei vangeli emergerà un’idea di fondo: il Gesù storico è il Gesù halakhico, cioè il Gesù preoccupato e impegnato a discutere della Legge mosaica e delle questioni pratiche che ne scaturiscono.”

JOHN P. MEIER, Un ebreo marginale, Legge e Amore, IV volume, Queriniana Editrice, pp. 20-21.

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