venerdì, Marzo 29, 2024

L’omosessualità è una scelta? Parliamone

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

L’omosessualità è una scelta? No l’omosessualità non è una scelta. Ma è necessario fare una precisazione: il termine «omosessualità» ha due significati: l’orientamento sessuale e il comportamento sessuale.

Il comportamento dipende dalla nostra volontà che a volte viene ostacolata più di quanto vorremmo e anche la nostra libertà è spesso ridotta,  e tuttavia si può scegliere se vivere e in che modo la propria omosessualità.

Altra cosa è l’orientamento sessuale: che sia eterosessuale od omosessuale questo orientamento si impone a noi. La sua origine  è fonte di controversie e dibattiti. Ma, tranne in rari casi, per la persona che si scopre omosessuale l’origine non è cosa importante. Questa scoperta è nella maggior parte dei casi  uno shock. Come accettare il rischio di non essere accolti dalla propria famiglia, di dover portare una maschera, di non potere avere figli, di essere esposti a discriminazioni sociali e, per un cristiano che voglia essere fedele all’insegnamento “forte”  della Chiesa, di  non avere  mai diritto alla tenerezza di una persona amata?

Nessuno sceglierebbe un tale orientamento. In realtà, il più delle volte non sono le persone omosessuali che si pongono il problema della scelta, esse conoscono generalmente la risposta. Piuttosto sono i parenti che pensano che c’è una scelta, che è possibile una scelta. Così pensando che  loro figlio abbia liberamente scelto il proprio orientamento sessuale, i genitori faranno pressione su di lui per farlo cambiare, taluni cristiani formuleranno un giudizio negativo sulla «moralità»  di una persona omosessuale e lo accoglieranno più o meno bene, i responsabili dei giovani eviteranno di  affidare bambini a persone omosessuali perché non venga influenzato il loro orientamento sessuale. Per evitare tali malintesi, la Chiesa cattolica afferma nel Catechismo che coloro che presentano tendenze omosessuali non scelgono la propria condizione (catechismo della chiesa cattolica, n.2358).

Come accettarsi?

Si è visto che l’omosessualità non è una scelta ma una realtà che si impone. Tuttavia, prima o poi, il problema della scelta si impone: se non ho scelto di essere omosessuale, posso accogliere questo orientamento affettivo. E qui sta il  problema dell’accettarsi. Comincia allora un cammino più o meno lungo. Un cammino che potrà essere vissuto come una scoperta di sé, ma anche, talvolta, come l’elaborazione di un lutto, spesso doloroso.

Per accettarsi non ci sono ricette miracolose: per alcuni sarà naturale; per altri sarà molto più difficile. Dipende spesso dalla propria educazione, dalla famiglia, dall’ambiente sociale, dal proprio vissuto, dalla paura del giudizio degli altri… La questione si pone talvolta su come impostare la propria esistenza: devo rinnegare la mia natura profonda senza liberarmi dalle regole e dai punti di riferimento che mi servono per avere una vita accettabile agli occhi degli altri e della società? O al contrario devo rinunciare a questa immagine che mi sono costruito fino a oggi, conforme al modello sociale eterosessuale, ai desideri dei miei genitori, all’idea che io mi facevo sul mio avvenire? Ognuno vivrà questo dilemma in modo diverso.

Talvolta resterà latente e riapparirà sullo sfondo nel corso degli anni. Poi verrà un momento, un evento, una sollecitazione  che lo renderà non più evitabile. Forse un giorno davanti allo specchio, di fronte a una realtà che si impone, questa conclusione mi apparirà chiara:« io non sono me stesso, sto recitando una parte». Non ci si può nascondere sempre alla verità di se stessi. Alla fine si è portati poco a poco ad accogliersi come si è, a vedersi nella verità con  umiltà. Accettarsi non è mai semplice, perché l’orientamento affettivo coinvolge molto al di là del semplice problema della sessualità: scoprirsi omosessuali implica cambiare il proprio sguardo su tutta la propria vita.

Ma se si passa la vita senza riconoscere ciò che si è, si passa oltre a qualcosa di essenziale per essere felici. È un cammino senz’altro esigente, ma appassionante, che porta ad allargare il proprio sguardo, aprirsi agli altri con verità e a percepire il mondo e in fondo lo stesso Dio in un modo nuovo. Rileggendo il modo in cui hanno condiviso la propria omosessualità con il  proprio entourage, molti cristiani si sono convinti che è stata la loro fede in Cristo ad averli spinti a questa esigenza di verità.

Devo parlarne con i miei familiari?

Ciò che normalmente chiamiamo  «coming out» è un fatto importante. Lungi dall’essere un modo di affermare la propria differenza o di porre una rivendicazione, l’annuncio della propria omosessualità ai famigliari costituisce per molti una tappa essenziale in un percorso di verità con se stessi. Dal momento che amiamo coloro che ci sono vicini, si ha desiderio di condividere con loro ciò che è la parte più intima di se stessi, ma questo non è un obbligo.

E tuttavia questo annuncio non è semplice e suscita numerose domande. In primo luogo occorre chiedersi che cosa ci spinge a voler essere nella verità con il proprio entourage: è per se stessi o per gli altri? Perché sono due le parti in gioco in questa delicata rivelazione. Se per se stessi: è per essere più liberi nella propria vita? Perché non si riesce più ad andare avanti senza condividere ciò che si vive? Per poter essere nella verità con gli altri e non avere più l’impressione di mentire ai propri famigliari? È per scaricarsi di un peso a spese del proprio entourage o per sincero spirito di condivisione? Se  per gli altri: è perché possano meglio capire? Per dimostrare loro la propria fiducia il proprio affetto? Per non mancare loro di rispetto?

Occorre anche tener conto delle conseguenze di questa rivelazione, per sé e per gli altri. Questa confidenza sarà accolta bene e ci permetterà di coltivare relazioni più vere e profonde? Oppure si rischierà di complicare ancora di più la situazione, di essere incompresi ed respinti? Tutto dipende dal contesto famigliare, amicale, professionale e dalla natura delle proprie relazioni con gli altri, dalla apertura mentale e di cuore di ciascuno, dai pregiudizi sempre presenti nei confronti dell’omosessualità…

Occorre anche ricordare che un «coming out» precipitoso può provocare situazioni gravi: sono numerosi i casi di giovani cacciati di casa da genitori incapaci di comprendere. È spesso buona cosa aspettare che la propria situazione sia stabile, per non trovarsi in una fragilità ancora più grande, ad esempio nella precarietà. Se rivelarsi agli altri rischia di provocare incomprensione, giudizio negativo, emarginazione o di creare dei forti stati di tensione, è forse preferibile non parlare. Non è mentire, ma solo non rivelare la propria omosessualità. Perché anche per gli altri accettare non è semplice.

Se è difficile accogliere se stessi, se si è tentati di negare o di fuggire la propria omosessualità, è possibile che succeda la stessa cosa per il proprio entourage, che spesso non è preparato a una tale notizia. Può essere importante, prima di uscire, di lanciarsi, domandarsi se l’altro è pronto ad ascoltare questo annuncio. Se no vorrebbe dire violare il suo spazio interiore.

Può essere anche che sia possibile parlare ad alcuni che sono pronti ad ascoltare, ma non ad altri che non sono ancora capaci di capire: questo è particolarmente vero in famiglia. In certe situazioni bisogna saper accettare il fatto che  il proprio ambiente potrebbe non essere mai pronto a vivere una realtà simile e capire che è meglio non parlare.

Se invece questo permette di chiarire la situazione, può essere desiderabile dire le cose. E le reazioni dell’ambiente  possono essere assolutamente sorprendenti nell’altro senso: che cosa può esserci di più bello di genitori che dicono a loro figlio che lui resta lo stesso per loro, comunque dica di essere? Il fatto di parlare ai propri famigliari può provocare un approfondimento e un arricchimento nelle relazioni, può diventare motivo di dialogo, di condivisione e di fiducia reciproca.

In pratica, se uno desidera rivelare la propria omosessualità ai famigliari è opportuno che prima si chieda come egli stesso ha accolto questa realtà,  come la ha assimilata nella propria vita. Si tratta  di riconoscersi, di accettarsi, di essere in pace. Bisogna poi trovare il momento giusto, quando l’altro è disponibile ad ascoltare ciò che uno ha da dirgli.

Talvolta sono le circostanze a portarci ad agire: sia perché tutto va bene e uno alla fine ha trovato un certo equilibrio nella propria vita, sia perché invece  tutto va male e si ha bisogno di sentirsi capiti e sostenuti. In ogni caso l’atteggiamento corretto  è quello di essere umili: rivelando la propria omosessualità non si deve provare niente all’altro, non c’è niente da imporgli, si parla della propria intimità, e si confida qualche cosa di se stessi.

Talvolta ancora, il miglior modo di vivere la propria omosessualità nel proprio ambiente è riuscire a essere se stessi. Ci sono situazioni che parlano da sole senza che ci sia bisogno di una formalizzazione esplicita: quando due amici sono continuamente insieme da anni, l’entourage capisce sicuramente qualcosa, anche se le cose non vengono dette. Non c’è sempre bisogno di dire tutto per essere capiti. Infine, può essere utile un aiuto per non affrontare questo tratto di cammino da soli.

Come nell’accertare se stessi, è necessario soprattutto crescere nella preghiera e nel discernimento, aiutati, quando serve,  dalla presenza di un assistente. Un primo passo può essere cominciare a confidarsi non con un famigliare ma con un estraneo. Può anche essere utile un gruppo di condivisione, che permette di raccontarsi e di imparare ad accettare lo sguardo degli altri su di sé.

E  ancora, spesso è  più facile parlare di certi argomenti con gli amici o i fratelli o le sorelle, piuttosto che con i genitori: la posta in gioco non è la stessa. Infine, che si sveli o no la propria omosessualità ai famigliari, quello che importa è essere in pace con se stessi. E quand’anche  costasse molto  non essere nella verità con i genitori, occorre almeno essere nella verità davanti a se stessi e  a Dio.

Posso amare nella verità una persona dello stesso sesso?

Quando si prova attrazione per una persona dello stesso sesso, all’inizio non è facile  capire di cosa si tratta: è una semplice attrazione fisica, un desiderio puramente sessuale o un sentimento più profondo? si può parlare d’amore? che cosa trovo nell’altro? è un piacere egoista? è il sentirmi gratificato dallo sguardo che l’altro mi rivolge? alcuni mettono in discussione  la possibilità di un amore vero tra due persone dello stesso sesso.

Persone eterosessuali si chiedono cosa ci può essere in comune tra ciò che essi vivono come coppia e ciò che vivono due persone omosessuali. Ma la domanda che tutti si fanno è poi  la stessa: qual è la qualità della mia relazione con l’altro che mi attira e per il quale provo un sentimento d’amore?La domanda non è insignificante. Richiede di fare verità in se stessi, spinge il cuore e lo spirito a prendersi il tempo del discernimento per verificare se l’oggetto del proprio desiderio è giusto e buono; e per il cristiano, di riconoscere al cuore di questa umanità che ama, l’incarnazione del Cristo.

Così come Dio si fa carne ed è in relazione con ciascuno di noi nella carne, così noi siamo capaci di entrare in relazione con un altro essere nella carne, incontro gioioso che ci insegna ad amare ed essere amati.

Si può vivere come coppia omosessuale?

Alcune persone omosessuali scelgono di vivere una relazione con un’altra persona. Lungi dall’essere una soluzione facile, la vita di coppia è una sfida esigente chiamata ad essere verificata nel tempo. Comincia in modo naturale con l’attrazione provata per l’altro, con un sentimento amoroso che, se ricambiato, porta a iniziare una relazione a due.

Dopo un certo tempo nasce il desiderio di vivere in coppia. Come per molti, eterosessuali od omosessuali, mettersi in coppia può essere, all’inizio, una decisione più o meno meditata. In effetti, si passa spesso molto in fretta alla vita di coppia, senza conoscersi bene e senza aver prima affrontato certi essenziali aspetti fondamentali. Ma la vita e le sue peripezie pongono prima o poi la coppia di fronte a crisi  che la faranno andare avanti e crescere oppure separarsi.

Essere una coppia è una scelta di vita che deve essere meditata, maturata e rinnovata senza sosta. La vita di coppia è sorgente di gioia, di felicità e di crescita. È anche un legame duraturo, fatto  di responsabilità e di doveri. È necessario prendersi il tempo di ascoltare l’altro, sapergli esprimere i propri bisogni e desideri, trovare compromessi, essere pazienti, superare insieme le prove e conflitti, perdonare e  saper chiedere perdono,  prendersi cura dell’altro. La coppia è portata a interrogarsi con regolarità sulla qualità della propria relazione e sull’impegno reciproco che richiede.

Vivere in coppia  è andare avanti insieme, condividere la vita con un altro diverso da sé, ma che si ama e ci fa uscire da noi stessi. È anche condividere valori: l’impegno reciproco, la sincerità, la fedeltà, la castità e il rispetto profondo dell’altro, la responsabilità, l’apertura agli altri. È importante che la coppia costruisca se stessa passo dopo passo, prenda il tempo di edificare una relazione solida, che sostenga e che sollevi entrambi verso l’alto.

Costruire la relazione è inventare insieme la vita di coppia: condividere un progetto, dare spazio alle attività di ciascuno, aprirsi agli altri. In altri termini, rendere la propria vita feconda. La fecondità della coppia omosessuale è un argomento importante che non si pone solo in termini di fertilità. La fecondità trova la sua sorgente nel desiderio di ciascuno di crescere sulla misura dell’amore donato e ricevuto. La sessualità contribuisce a questa crescita.

Come ogni coppia, la  coppia omosessuale è chiamata a  una sessualità responsabile, rispettosa e casta. Amare castamente è rispettare profondamente l’altro così come egli è, amarlo per lui stesso, non strumentalizzarlo, non cercare di possederlo. La relazione di una coppia omosessuale non si riduce alla sessualità. Questa è presente, ma deve avere il suo giusto posto che peraltro può evolvere nel tempo.

Nel percorso di coppia, è talvolta utile chiedere un aiuto esterno per permettere un momento di riflessione, di appianare  tensioni o comporre conflitti, andare avanti in modo chiaro. Può anche essere appropriato un accompagnamento spirituale. Incontrare e parlare con altre coppie, disponibili a condividere le proprie esperienze, aiuta a crescere. Questi aiuti e sostegni esterni sono probabilmente meno numerosi e spontanei per le coppie omosessuali che per le coppie eterosessuali, ma sono più importanti dal momento che l’omosessualità non è «nella norma» e sia la società che la Chiesa spesso non sono presenti ad aiutare  una coppia omosessuale a consolidarsi e restare coesa.

Anche l’accoglienza di famigliari e amici contribuiscono alla costruzione della coppia. Il modo in cui due persone si inseriscono nella vita sociale, amicale e familiare può essere determinante per il funzionamento e la crescita della relazione. Quando la coppia è bene accolta e rispettata può a sua volta aprirsi  agli altri e vivere il proprio legame in modo più fecondo.

Per una coppia omosessuale cristiana, la dimensione spirituale è essenziale. Permette di riflettere sul modo di camminare insieme, di pregare insieme, di impegnarsi nella Chiesa, come singoli e come coppia,  di dare una dimensione spirituale al proprio amore.

 

Testo originale: L’homosexualité en questions
Testo pubblicato sul sito di Devenir Un En Christ, associazione cattolica francese per cristiani omosessuali, libera traduzione di Giuliano e Giovanna del gruppo Davide di Parma

 

Progetto Gionata, 11 marzo 2019

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