mercoledì, Aprile 24, 2024

Abbiamo bisogno di un linguaggio sensibile al genere anche nella Chiesa! (Ute Leimgruber)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

La teologa pastorale Ute Leimgruber afferma in un’intervista, che nessuno può ormai evitare un linguaggio che non si dimostri “sensibile” al genere e considera importante che ciò avvenga anche nella Chiesa. Perché la pretesa di “comprendere” altri generi usando la forma maschile non funziona. E questo è un tema del quale, secondo lei, dovrebbe occuparsi tutta la teologia.

Christoph Paul Hartmann autore dell’intervista esordisce così:

“Collaboratori o collaboratrici pastorali, lettori o lettrici, cristiani o cristiane?”: la diocesi di Hildesheim ha attirato l’attenzione con un volantino nel quale comparivano indicazioni  riguardo a un linguaggio sensibile al genere. Ho voluto chiedere, a una teologa, che passi ha fatto, o sta facendo la Chiesa, riguardo a questo problema.

Domanda: Il volantino di Hildesheim sul linguaggio sensibile ha fatto scalpore. Quale è la posizione della Chiesa in questo campo?

Leimgruber: Si sta muovendo… La lingua infatti non rispecchia solo la nostra vita quotidiana ma anche i nostri valori e ci guida nella nostra percezione del mondo. Una Chiesa che riflette su quei valori, sull’impatto che essi hanno sul quotidiano lo fa usando un linguaggio, e dunque deve anche chiedersi se si esprime in un modo corretto riguardo al genere. Una lingua è sempre in movimento, evolve. Il cambiamento sociale e quello linguistico si influenzano a vicenda e ovviamente anche la Chiesa è coinvolta in questo cambiamento. Per questo negli ultimi anni il linguaggio di genere è diventato una componente molto importante sia nella Chiesa cattolica che in quella protestante.

D: La chiesa evangelica non è molto più avanti di noi?

R: Cosa intendi per più avanti? (ride) Ci sono diverse linee guida sia nella Chiesa cattolica che in quella protestante. Molte sostengono un linguaggio corretto o sensibile al genere. Il foglietto di Hildesheim ha attirato maggiormente l’attenzione, ma se ne sono occupate anche le diocesi di Padeborn, Bamberg e Monaco Frisinga, il comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK) che ad esempio sostiene l’uso dell’asterisco, cioè la stella di genere. Quindi non è che nella nostra Chiesa alcuni non siano favorevoli, anzi la maggioranza lo è, solo che i contrari fanno più rumore! Nella chiesa protestante c’è stata al riguardo, una decisione del consiglio dell’EKD nel 2020 ed è stata pubblicata una guida. Quindi ci sono approcci da entrambe le chiese, non discuterei su chi è più avanti.

D: Pensi che la discussione sia importante?

R: penso che sia molto importante che la Chiesa si sforzi di usare un linguaggio corretto. Prima di tutto è una questione di cortesia e di rispetto. Chi si rivolge alle persone dovrebbe accettarle cosi come sono. Inoltre si tratta di precisione e di equità, perché i generi esistenti dovrebbero essere tutti ugualmente visibili. Ci sono abbastanza studi scientifici che dimostrano che usare genericamente il maschile per rivolgersi ad altri generi non è né giusto, né corretto. Piuttosto è stato dimostrato che dove ci si rivolge solo agli uomini, si pensa solo agli uomini!

D: Il cristianesimo già dalla Bibbia dice che tutte le differenze sono abolite: “Non ci sono più Giudei e Greci, schiavi e liberi, maschi e femmine, perché tutti siete in uno, in Gesù Cristo” (Gal 3,28)… Questa differenziazione non è forse un passo nella direzione sbagliata? Quali differenze ci sono se tutti siamo immagini dello stesso Dio…?

R: Dobbiamo esprimerci in qualche modo e non possiamo farlo in modo neutrale. La lingua non è mai neutrale. La pretesa del maschile generico di essere inclusivo è solo teorica, linguisticamente di fatto è escludente. L’intenzione che vi è sottesa non significa che funzioni. Se non voglio escludere nessuno ma uso un linguaggio escludente, anche se la mia intenzione è buona non mi servirà a niente!

D: Tuttavia le proposte del foglietto di Hildesheim sono un esplicito invito di includere “i generi” posti al di fuori della dualità maschio-femmina. Generi che non esistono per il magistero ecclesiastico…

R: Quando la Chiesa nega l’esistenza di un’identità di genere al di là di maschio- femmina, ignora un fatto scientifico, perché non esiste una bisessualità biologicamente univoca. La teologia deve superare le categorie con le quali fin’ora ha compreso/definito i sessi. L’idea che ci sono solo due generi- uomo donna-è alla base di molte norme anche teologiche nella Chiesa. Ad esempio la complementarietà binaria dell’uomo e della donna viene letta come il simbolo dell’alleanza di Dio con l’uomo. Ma se guardiamo al nostro linguaggio quotidiano molto concreto cosa che il volantino di Hildesheimer fa, dovremmo comprendere sulla base delle scienze naturali, che non ci sono solo identità di genere binarie. E dunque cambiare il linguaggio, è, come ho già detto, una questione di rispetto e cortesia, di precisione e giustizia che aiuta ad accogliere i diversi generi e a renderli visibili. Le conseguenze teologiche vanno discusse a parte, ma prima di tutto si tratta di accettare che esiste il problema.

D: Ma se la Chiesa accettasse questo indirizzo non metterebbe a repentaglio un aspetto cruciale della dottrina e di conseguenza non farebbe crollare l’intera teologia al riguardo?

R: Fondamentalmente la Chiesa si è sempre confrontata con la scienza: per esempio si è passati dalla visione geocentrica del mondo a quella eliocentrica- e nulla è cambiato nel messaggio del cristianesimo. Come teologi è nostro compito essere in grado di giustificare ragionevolmente e responsabilmente la nostra fede in relazione alle nuove scoperte della scienza. Come Chiesa dobbiamo guardare a tutte le persone ed esprimerci in un linguaggio che non nasconda o emargini nessuno. Allo stesso tempo, dobbiamo prendere a cuore la questione di cosa significhi la conoscenza scientifica per la nostra teologia dell’uomo e del rapporto uomo-Dio. Solo la teologia che sa reagire in modo creativo e riflessivo riguardo ai cambiamenti del mondo e crescere ulteriormente può essere vincente. Di fatto così è successo da migliaia di anni.

D: Alcuni nella Chiesa sostengono che un linguaggio sensibile al genere metterebbe a repentaglio le strutture famigliari e sociali tradizionali e le sostituirebbe con un’ideologia di sinistra che vuole distruggere tutto questo. Cosa ne pensi?

R: L’intenzione di non emarginare nessuno non è da equiparare a un’intenzione che distrugge valori come il matrimonio, la famiglia o simili. Questa è un’accusa che non è accettabile.

D: Tutta la dottrina cattolica si basa sul concetto di “riproduzione” mutuato dall’ebraismo. Se lo spezzi o lo allarghi come lo giustificherà la teologia?

R: Sono fermamente convinta che la nostra fede possa essere formulata in modo ragionevole e che quindi possiamo serenamente affermare che comprendiamo ed includiamo orientamenti sessuali e diversità di genere. Questa è la nostra missione. Se ci fosse una soluzione semplice a livello teologico, l’avremmo già. Ma è comunque compito della teologia, che esprime l’eterno conflitto del mondo con Dio, far sì che ne pensiamo e discutiamo seriamente evitando di mettere subito in contrapposizione l’essere dalla parte della scienza con l’essere cattolici.

D:Dio è ancora associato al maschile, si parla di Signore e di Padre. Cosa significa per l’immagine che abbiamo di Dio questa emancipazione di genere?

R: Fondamentalmente significa che impariamo ad apprezzare di nuovo la grandezza di Dio. Tutte le metafore che usiamo per Dio sono sempre più dissimili rispetto a ciò che Lui è davvero. É bene dare più spazio linguisticamente a questa grandezza di Dio.

D: Questo ulteriore sviluppo teologico non è un progetto troppo ampio e difficile se non impossibile, se concepito all’interno di una Chiesa sempre più polarizzata?

R: No, anzi. Piuttosto significa che l’uguaglianza di genere non si verifica più solo nella nicchia del femminismo. Ma riguarda tutte le scienze teologiche ed è chiaro ormai che non possiamo più ignorare questo argomento. Nell’ edizione standard delle lettere di San Paolo ad esempio, è chiaro e accettato che esse parlano a” sorelle e fratelli” e questo aveva suscitato controversie solo trent’anni fa! Queste considerazioni e riflessioni non sono quindi nuove, ma il tema è progressivamente stato messo a fuoco e ha portato a una riflessione teologica. La stressa cosa è successa con Giunia: per secoli è stata etichettata come maschio, oggi la traduzione è stata rivista. Ormai è diventata una questione trasversale e ne sono felice. Penso quindi che sia sbagliato non affrontare questo argomento solo perché c’è un rischio di polarizzazione. Questo non è un modo sensato di procedere.

Katholisch.de, Regensburg 18/10/21

https://www.katholisch.de/artikel/31632-pastoraltheologin-an-gendergerechter-sprache-kommt-niemand-vorbei?fbclid=IwAR1umcm-B0xE2TwPmFvmp18EfKeASOzUa21EJVL00GhcwGXx6hCSmaV-Pr8

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