venerdì, Aprile 26, 2024

Cosa possiamo aspettarci sui diritti delle donne in Italia dopo le elezioni

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
Oggi è l’8 marzo—il giorno giusto per ricordare come, tra le questioni ignorate dalla maggior parte di candidati e partiti in campagna elettorale, c’è stata quella riguardante la parità di genere e i diritti delle donne. E questo, ad esempio, nonostante in occasione di femminicidi o episodi cruenti si senta parlare di emergenza. L’unica eccezione è stata quando la destra ha evocato il problema della violenza sulle donne in occasione della morte di Pamela Mastropietro, sebbene in quel caso la finalità fosse parlare di immigrazione.
Recentemente la ricercatrice Giorgia Serughetti si è chiesta se la vittoria di Lega e M5S alle elezioni possa essere vista anche come quella di “un fronte anti-femminista”. La risposta è che “in parte sì, in parte non si sa”: in parte sì perché certe posizioni sono da tempo note (ad esempio Fratelli d’Italia non ha mai nascosto la sua contrarietà all’aborto); in parte non si sa perché i programmi elettorali sul tema sono quantomai fumosi e sommari.

Eppure le problematiche in Italia sono tante, a cominciare dal contrasto alla violenza. Solo pochi giorni fa c’è stato l’ultimo femminicidio in provincia di Latina, e si è riacceso (più che altro tra gli addetti ai lavori, per la verità) il dibattito sulla sufficienza delle misure previste a protezione delle donne e su una presa di coscienza del fenomeno.

Poi c’è l’argomento lavoro: secondo l’ultima rilevazione Istat nel nostro paese l’occupazione femminile si attesta al 48,1 percento, 19 punti sotto quella maschile. L’insieme delle donne italiane, tra l’altro, guadagna il 52 percento dei redditi percepiti dagli uomini, con tutti gli squilibri di potere che ne conseguono.

Altri punti sono la necessità di un’educazione non sessista e libera da stereotipi che parta dalle scuole, o una maggiore libertà di scelta sul proprio corpo, ad esempio consentendo un accesso alla legge sull’aborto meno problematico.

Per rivendicare queste e altre istanze, oggi in Italia—così come in diversi paesi del mondo—è stato convocato uno sciopero delle donne, contro qualunque forma di violenza o discriminazione di genere. Nel frattempo, io mi sono chiesta cosa possiamo aspettarci sul tema da un eventuale governo Salvini o Di Maio.

IPOTESI 1: GOVERNO DI CENTRODESTRA
 

Una premessa: so che fare un discorso su femminismo e parità di genere parlando di una coalizione in cui è presente Silvio Berlusconi può sembrare paradossale. Ne sono consapevole. Però è stato proprio lui lo scorso dicembre a intestarsi la questione: “Noi la difesa dei diritti delle donne ce l’abbiamo come fatto prioritario. […] Le donne hanno un talento naturale: sanno sempre arrivare alla soluzione giusta con pragmatismo, prima di noi uomini.”
Comunque, quello che appare lampante sfogliando il programma del centrodestra è che le donne hanno evidentemente una sola funzione: fare le mamme. Si evocano entità di sesso femminile con finalità riproduttive solo nella sezione “Più sostegno alla famiglia”, dove si annuncia un “piano straordinario di natalità con asili nido gratuiti.” La natalità di cui si parla, ovviamente, è italiana. Il concetto è semplice: la donna italica va sostenuta nella sua funzione di ripopolazione dell’italico suolo.

Successivamente vengono proposte “tutele del lavoro delle giovani madri,” e una non ben precisata “difesa delle pari opportunità e tutela delle donne” con, ovviamente, un “riconoscimento pensionistico a favore delle madri.” Nel programma di Fratelli d’Italia, addirittura, si parla di incentivi alle aziende che “assumono neomamme e donne in età fertile.”

Insomma, o procreatrici o niente. Restano fuori coloro che madri non vogliono o non possono essere, le coppie omosessuali e le famiglie diverse da quella naturale. 
 Su prevenzione della violenza non c’è nulla (tranne qualche previsione strettamente legale sullo stalking nel programma della Lega). Solitamente l’argomento viene tirato fuori per lo più in chiave anti-immigrazione (strano, eh?). Così ha fatto, ad esempio, Giorgia Meloni dopo gli stupri di Rimini, teorizzando un “nesso diretto tra immigrazione e aumento del numero di casi di violenza sessuale.” Anche secondo l’avvocata Giulia Bongiorno, neoparlamentare leghista considerata una specie di pasionaria contro la violenza sulle donne, regolare l’immigrazione “significa evitare che in Italia le donne, sia italiane sia straniere, siano oggetto di violenze.”
Considerato che la stragrande maggioranza delle violenze sulle donne viene consumata all’interno delle mura domestiche, dubito che ci potrà essere un qualche miglioramento andando in questa direzione.

Niente anche su misure che investano su educazione, antisessismo e differenze. Del resto, rischiamo di avere un presidente del Consiglio che ha definito una bambola gonfiabile “una sosia della Boldrini” e che ha dedicato parte di un suo comizio a inveire sulla notizia che Elsa di Frozen potesse diventare lesbica.

IPOTESI 2: GOVERNO CINQUE STELLE
 

Cosa aspettarci sui diritti delle donne da un governo 5 stelle? Bella domanda. Da un lato il programma sul tema è assolutamente generico esattamente come su tutto il resto, dall’altro non ci sono state prese di posizione forti tali da rendere riconoscibile la direzione.

Quel poco che c’è scritto è condivisibile: “Percorsi interdisciplinari di educazione alle emozioni, all’affettività e alla parità di genere” a scuola, promozione della “cultura della tolleranza, contrastando il bullismo, il cyberbullismo, la violenza di genere e ogni forma di discriminazione.” Nella parte dedicata alla salute si prevede una piena attuazione del piano nazionale antiviolenza, eliminazione di discriminazioni e stereotipi, codici di autoregolamentazione per la comunicazione, genitorialità condivisa.
È tutto molto progressista, se non fosse che non c’è traccia delle persone LGBTQI—con cui, tra l’altro, il M5S ha un conto in sospeso dopo aver ritirato di punto in bianco il sostegno alla legge sulle unioni civili. 

Sul problema della violenza, Dino Giarrusso, candidato con il M5S ed ex Iena autore dei servizi sul caso molestie che ha coinvolto Fausto Brizzi, aveva annunciato che una volta in parlamento si sarebbe occupato di presentare “un progetto di legge che tuteli in maniera molto più incisiva la dignità delle donne”: “La legge italiana prevede incredibilmente che il reato di violenza sessuale sia perseguibile solo su querela di parte offesa, e solo se la querela è depositata entro sei mesi dai fatti. In concreto, se una ragazza abusata non trova la forza di denunciare il proprio stupratore entro sei mesi, quel reato così odioso e inumano resterà impunito.” 

È indubbio che allungare i tempi per denunciare alle forze dell’ordine sia un proposito condivisibile—troppo spesso i sei mesi trascorrono senza che le vittime abbiano avuto modo di elaborare quanto è accaduto. Prendiamo la bontà dell’intento, quindi, e trascuriamo il fatto che modificare che il reato sia perseguibile a querela di parte lascia qualche perplessità (la denuncia di una violenza dovrebbe sempre e solo partire dalla volontà di chi l’ha subita). Il mio dubbio è un altro.

Dino Giarrusso non è entrato in parlamento, ma nel post si dice che la proposta verrà presentata dal MoVimento 5 Stelle. Considerato questo proposito, è quantomeno bizzarro che—mentre in tutto il mondo si parlava di molestie sessuali e in Italia si disputavano i campionati di victim blaming—nessun esponente del M5S si sia trovato anche per caso a dire qualcosa sull’argomento.
(Claudia Torrisi, Vice Italia, 8 marzo 2018)

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